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M5S in Europa, in prima linea per la #pace
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(fonte Conflitti e strategie)
Il prof. Gianfranco La Grassa, economista e saggista, di cui si pubblicano le opinioni in questo sito è professore emerito di politica economica alle università di Pisa e Venezia(quì una sua breve biografia con le ultime sue pubblicazioni). Ha scritto decine di saggi pubblicati con le più importanti case editrici italiane, da Editori riuniti a Feltrinelli, e parecchi suoi studi hanno avuto traduzioni in varie lingue.
Per fare conoscere il pensiero di Gianfranco La Grassa viene pubblicato in altre pagine una introduzione che scrisse qualche anno addietro il compianto Costanzo Preve.
Bisogna partire dal disfacimento Urss provocato da Gorbaciov e proseguito da
Eltsin (ricordo che si usano i nomi di persone ufficialmente al vertice di gruppi
politici dominanti nei vari paesi per indicare tali gruppi). La Russia perse
molti territori rispetto all’Urss, ma con l’inizio di questo secolo
si è pian piano rimessa in carreggiata conseguendo successi insperati.
Si può dire che, tutto sommato inaspettatamente, si è messo in
moto un processo di multipolarismo, assai differente dal sistema bipolare (1945/89-91),
sia pure “imperfetto” per la crescita della Cina (soprattutto dagli
anni ’80). Sia Bush jr. che Obama hanno posto in essere per gli Usa strategie
parzialmente diverse al fine di frenare e possibilmente impantanare tale accentuarsi
del multipolarismo. L’errore è forse consistito nella sottovalutazione
dei processi in corso in Russia sotto Putin (sempre un nome per un gruppo di
vertice). E si è probabilmente, con Obama, utilizzata una politica del
caos, anche utilizzando (marginalmente) brandelli del vecchio antimperialismo
terzomondista, ma soprattutto certi fanatismi religiosi (sostituendo di fatto
l’Isis e il Califfato ad Al Qaeda e utilizzando pure i “Fratelli
musulmani”, ecc.). Contro la Libia di Gheddafi si sono messi in moto dati
sicari tipo Inghilterra e soprattutto Francia, di cui si sfruttò la volontà di
prendersi varie posizioni che vi aveva conquistato l’Italia in un momento
di positiva collaborazione tra Putin e Berlusconi (con Gazprom ed Eni in primo
piano, ma non solo). Nel 2011 i settori berlusconiani furono neutralizzati piegando
il “nano”, resosi prono davanti ad Obama. Probabilmente lo si minacciò nei
suoi più diretti interessi (e forse persino di più), ma non ci
interessa ormai saperlo.
Quella impostazione della politica statunitense, in effetti, sembra aver infine
manifestato la corda. Tuttavia, la vittoria di Trump e di un diverso gruppo dirigente – vedremo
se temporanea oppure no – non sembra soltanto legata alle necessità di
mutamento strategico. Ci sono fattori interni non ancora sondati a fondo; e proprio
per la difficoltà di comprensione di un’epoca di transizione come
quella che stiamo vivendo. La sensazione è che gli Usa siano in declino;
potentissimi militarmente, con ancora una influenza ideologica – soprattutto
in merito alla colossale balla della loro democrazia, propagandata come superba
soprattutto dopo la seconda guerra mondiale – che tuttavia sembra tutto
sommato in discesa; anche perché ha prevalso nettamente una enfatizzata “modernizzazione
dei costumi” e l’allargamento dei sedicenti “diritti civili”,
che tuttavia mostrano un sempre più irritante senso di prepotenza e spesso
di prevaricazione da parte di gruppi ad alto livello di reddito e quindi isolati
dal resto della popolazione, gruppi che tentano di affermare la preminenza di
un nuovo “conformismo sociale”. Ciò che in altre condizioni
sarebbe stato senz’altro positivo – combattere l’ingiustificata
messa in condizioni di inferiorità delle donne, dei gay, delle minoranze
etniche, ecc. – viene portato all’esagerazione in senso opposto con
conseguente crescita di conflitti e malcontento sociali. Da qui, dalla non soluzione
di contrasti a volte molto “scioccanti”, tende a generarsi la decadenza
di una società, la cui cultura è pregna di sfaccettature di ormai
difficile composizione; anzi spesso non vi è più un qualsiasi dialogo
fra loro, prevale l’inimicizia quando non addirittura l’odio reciproco.
Negativa è in effetti l’influenza eccessiva di tale tipo di conflitto
interno, che ha ormai sostituito le attardate, e un po’ penose, sopravvivenze
della vecchia “lotta di classe”, mai del resto portata nei paesi
a capitalismo avanzato oltre il livello sindacale, cioè di tipo distributivo
e non certo trasformativo dei rapporti capitalistici in via di differenzazione
in successive fasi storiche. Nell’attuale epoca di transizione dovrebbe
invece prendere il netto sopravvento il conflitto tra diversi paesi (a differente
potenzialità quanto a sfera di influenza nell’agone mondiale); se
quest’ultimo tipo di conflitto non riuscisse, prima o poi, a rendere subalterno
quello interno (del tipo appena descritto, pur sommariamente), si verificherà la
progressiva decadenza generale dell’intera società. Non lo credo,
tuttavia, mi sembra più probabile che siamo nell’incerta fase di
passaggio caratterizzata da un multipolarismo non propriamente accentuato e ancora
lontano dalla sua trasformazione in policentrismo antagonistico acuto, le cui
forme di svolgimento restano avvolte nella nebbia (non assomiglieranno quasi
sicuramente alle grandi guerre novecentesche, ma difficile dire adesso come si
configureranno).
Da qualche anno (pochi ancora) il multipolarismo ha iniziato a produrre un contrasto
interno a quel mondo “occidentale” (a supremazia Usa), che sembrava
aver ormai preso il sopravvento nel mondo intero con il dissolvimento di quello
che è stato erroneamente considerato, per quasi un secolo, “il socialismo
(reale)”. Apparentemente quest’ultimo è stato sconfitto dal
capitalismo, che si è dichiarato trionfalmente vincitore e ormai unica
civiltà globale. In realtà, non vi era alcun “socialismo”,
solo tentativi di affermare una diversa formazione sociale condotti con modalità – ancora
da studiare con nuovo tipo di orientamento, non più influenzato dal “comunismo” quale
semplice spinta ideologica – che alla fine hanno condotto ad un gigantesco
flop. Per questa fase “di passaggio d’epoca” dobbiamo concentrarci
principalmente sullo scontro tra diversi paesi con differente potenzialità:
potenze vere, subpotenze, alcuni paesi che stanno crescendo (non parlo solo della
crescita economica, l’unica che sembra attrarre l’attenzione di politici
e studiosi assai limitati) e altri in situazione di crisi, più o meno
definitiva o invece transitoria. Il mondo è in completo subbuglio e non
sarà per nulla facile individuare le sue effettive linee di tendenza caratterizzate
da scontri tra forze contrastanti, che diverranno via via più “vivaci” e
che sempre più si “condenseranno” assumendo l’aspetto
del conflitto insanabile tra differenti gruppi di paesi “alleati”.
Posso sbagliare poiché non sono certo un profeta, né mi atteggio
in tal senso, comunque oggi come oggi penso che si andranno “coagulando” – ma
non credo prima di un 15-20 anni – due sostanziali “alleanze”,
che vedranno alla loro testa (non necessariamente in modo nettamente predominante)
Stati Uniti e Russia. Molti pensano che il vero conflitto sarà tra il
primo paese e la Cina, considerata nettamente superiore (o almeno in via di diventarlo)
rispetto al secondo. Continuo a pensare il contrario. E’ ovvio che la Cina
sarà una pedina importante del conflitto e non si situerà in una
posizione subordinata ad una delle due maggiori potenze in conflitto. Tuttavia,
quando dovrà avvenire la suddetta “coagulazione” di due fondamentali “alleanze” (al
cui interno gli “alleati” si guardano sempre con sospetto e non nutrono
fra loro una sincera amicizia) – perché si abbia infine un confronto
diretto e quindi in grado di affermare nuove supremazie, è assolutamente
indispensabile che gli antagonisti siano fondamentalmente due – credo che
i paesi “guida” (anche se non “padroni” delle “alleanze”)
saranno Stati Uniti e Russia.
Oggi quest’ultimo paese, pur essendosi mosso bene ultimamente, sconta ancora
la dissoluzione dell’Urss e l’inimicizia dei paesi europei (orientali),
cosiddetti suoi satelliti dopo la seconda guerra mondiale e fino al 1989/91.
Tuttavia, forse con una progressione piuttosto lenta, la Russia diventerà il
vero antagonista degli Stati Uniti. Nell’attuale periodo storico si sta
producendo un apparentemente più decisivo scontro interno al cosiddetto “campo
occidentale”, cioè interno a Usa ed UE (e ai paesi ad essa aderenti).
La frattura, che non appare di facile composizione e si va acutizzando, si è prodotta
tra l’establishment dominante negli Usa fino a pochi anni fa (con minimali
divergenze tra settori democratici e repubblicani) e quello che al momento denominiamo
trumpiano. E tale frattura ha avuto immediati riflessi anche in Europa (e ovviamente
nel nostro paese). Importante è che tale antagonismo duri più a
lungo possibile – e se si accentuasse, sarebbe tutto “oro colato” – perché favorirà il
consolidamento dell’altro polo di un conflitto più globale e che,
lo ripeto, diverrà l’aspetto dominante della politica mondiale entro
non più di un ventennio (almeno così mi sembra proprio).
Tuttavia, oggi, chi non ragiona sempre in termini temporali non superiori a qualche
mese o, al massimo, qualche anno dovrà cominciare a pensare all’alternativa
rispetto all’attuale conflitto interno all’“occidente”:
diciamo, semplificando, tra obamian-clintoniani e trumpiani negli Usa che provoca
anche quello tra “popolari” e “socialisti” (oggi con
il rincalzo dei “macroniani”), da una parte, e i sedicenti “populisti”,
dall’altra. Per il momento, che non credo durerà al massimo più di
alcuni anni, si può anche mostrare un minimo di favore – comunque
un minore disfavore – nei confronti del cosiddetto “populismo” affinché si
indebolisca quello che dovrà essere trattato come avversario principale.
Non credo però che noi europei (e italiani in particolare, poiché noi
siamo qui situati) dobbiamo semplicemente lavorare all’indebolimento del
cosiddetto “campo occidentale” (quello a lungo dominato, perfino
schiacciato, dagli Stati Uniti). Se così facessimo, semplicemente ci sposteremmo
da un dato predominio (Usa) ad un altro (Russia). Vogliamo qualcosa di diverso,
una maggiore autonomia e una più alta considerazione – quali autentici “alleati” – da
parte di una delle due superpotenze che alla fine si affronteranno.
Giacché oggi, nel multipolarismo che dobbiamo far crescere, gli Stati
Uniti sono ancora il paese più forte, è indubbio che dobbiamo volgere
il nostro sguardo con maggiore frequenza “verso est”, cioè appunto
verso la Russia. E questo non potrà farlo la UE nel suo complesso. Ecco
perché, senza fissarsi sulla uscita o meno da questa esiziale organizzazione
e dalla sua moneta, si deve comunque lavorare alla creazione di una nuova organizzazione
politica che abbia caratteristiche nazionali e, nel contempo, guardi ad altre
forze analoghe che possano crescere in alcuni altri paesi a noi vicini (e non
vi è dubbio che sarebbe cruciale se questa forza analoga si andasse formando
in Germania). L’alleanza tra queste forze – ove nascessero e non
si perdessero dietro alla “raccolta di voti” ma fossero in grado
di organizzare ben bene un repulisti totale della putredine da cui sono attanagliati
attualmente i nostri paesi, Italia in testa – dovrebbe guardare appunto
ad est (Russia) senza però alcuna forma di dipendenza da essa. Lo ripeto:
il problema è accentuare il processo in direzione di una acutizzazione
dello scontro policentrico, senza volersi più mettere in vile e meschina
posizione subordinata come fatto da tutte le forze politiche di questa miserabile
Europa detta unita nei confronti del paese d’oltreatlantico.
Ovviamente, per ottenere il risultato desiderato a livello di scontro globale
e per spazzare via la suddetta putredine “interna”, questa forza
dovrà dedicare anche attenzione ai conflitti interni al proprio paese.
E qui, la situazione è certo ben confusa. Dovremo tornare spesso sui bisogni
che ormai premono, senza che per il momento sia chiaro fino in fondo quali schieramenti
si andranno costituendo nel breve periodo. E’ un discorso che continueremo
a fare. Siamo solo all’inizio. Insisto nel constatare una difficoltà di
contatti tra gruppi che pure sembrano su posizioni sufficientemente vicine.
Introduzione al pensiero marxista di Gianfranco La Grassa secondo Costanzo Preve