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Per agevolare la lettura, questo articolo tratto da Rosso XXI e scritto da Costanzo Preve nel 2004 è stato diviso in cinque parti.
Seconda parte
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articoli e una nota su Costanzo Preve.
3. Lo storicismo è dunque stato contemporaneamente l'ideologia
politica di legittimazione del partito di Palmiro Togliatti e la forma
teorica egemone nel marxismo italiano 1945-1991. Questa doppia natura
non deve mai essere dimenticata. Non si tratta affatto di una presunta
egemonia della "tradizione" italiana (Antonio Labriola, Antonio
Gramsci, eccetera). Questo è un mito elaborato da intellettuali
cortigiani ad uso e consumo di anime semplici. Lo storicismo italiano
era l'ideologia di legittimazione obbligata della linea politica di
un partito non-rivoluzionario a retorica identitaria rivoluzionaria,
con pratica amministrativa e parlamentare socialdemocratica e gestione
di partito stalinista.
In un recente dibattito cui ho assistito nell'agosto 2004, ho notato due oratori, l'uno stalinista e l'altro trotzkista, usare lo stesso apparato teorico storicista basato sull'idea per cui il tempo storico è una linea in cui si può essere avanti o indietro. I due oratori davano giudizi diametralmente opposti sulle cause delle vittorie e delle sconfitte del comunismo storico novecentesco (1917-1991) ma li davano all'interno dello stesso apparato teorico storicistico. Per costoro le critiche alla concezione unilineare della storia non erano mai esistite, ed essi mostravano non solo di ignorare l'esistenza teorica di Preve (pur presente al dibattito), ma anche la ben più importante esistenza teorica di Bloch, Benjamin, eccetera. Ma è inutile farsi illusioni. La sola cosa che stalinisti e trotzkisti non capiranno mai è il segreto della loro base teorica e filosofica comune.
Lo storicismo, o più esattamente la concezione storicistica (cioè progressistico-lineare) della storia, portava necessariamente con sé il politicismo parlamentaristico e l'economicismo tecnologico. La politica era di fatto ridotta a mobilitazione di massa in funzione di una pressione sulla "lotta" (?) parlamentare, e veniva messo al primo posto lo sviluppo delle forze produttive come via privilegiata al socialismo.
Il nostro Gianfranco La Grassa conobbe bene la triade storicismo-politicismo-economicismo perché la vide plasticamente incarnata nel suo maestro universitario di economia Antonio Pesenti. Ancora una volta, è l'uccisione psicanalitica del padre la genesi di una produzione teorica originale e di opposizione. Questo non deve certamente stupire. La molla dell'innovazione teorica marxista non può che essere la decostruzione della propria tradizione.
4. L'operaismo può essere definito, da un lato, come una formazione ideologica specifica che sorge sul terreno del marxismo per poi allontanarsene radicalmente sia nella lettera sia nello spirito, e dall'altro come una manifestazione della volontà di potenza e di affermazione di settori della piccola borghesia colta italiana in cerca di un soggetto sociale (in questo caso, l'operaio fordista) che potesse fare da portatore delle proprie aspirazioni egemoniche. In termini storici, quantitativi, l'operaismo è stato il solo vero concorrente dello storicismo togliattiano, ed è anche stato il tessuto ideologico fondamentale delle formazioni dette extra-parlamentari del decennio 1968-1978 (Lotta Continua, Potere Operaio, Avanguardia Operaia, eccetera). Il fatto che esso, nelle sue varie metamorfosi successive, duri da più di quaranta anni, fa dell'operaismo un fenomeno degno del massimo studio e della massima attenzione storiografica (anche se per me ripugnante).
Nato originariamente come metodologia di ricerca sociale per l'intervento politico-sindacale in fabbrica (il "marxismo come sociologia" di Vittorio Rieser, l'allievo di Raniero Panzieri), l'operaismo si costituì negli anni sessanta come vera e propria formazione ideologica organica, ad opera soprattutto di Mario Tronti e di Toni Negri. I due punti teorici su cui l'operaismo soprattutto insisteva erano il fatto che il capitalismo come sistema unitario pianificava la propria riproduzione attraverso l'estorsione di plusvalore, da un lato, ed il fatto che erano le lotte operaie il fattore decisivo per le innovazioni di processo. In questo modo spariva quasi completamente la natura concorrenziale dei vari capitali in lotta per le innovazioni di processo e di prodotto, e la nozione marxiana di modo di produzione era di fatto ridotta alle sole forme di estorsione del plusvalore relativo, per cui tutto il marxismo si concentrava nella sola quarta sezione del primo libro del Capitale.
Per quasi cinquanta anni Gianfranco La Grassa è stato uno dei
pochi avversari italiani dell'operaismo, ed ovviamente lo ha pagato caro,
per il semplice fatto che la stragrande maggioranza degli apparati ideologici
del cosiddetto "popolo di sinistra" (giornali, riviste, eccetera) è stata
di fatto lottizzata fra la componente storicista e la componente operaista.
La ferocia silenziatrice dei dissidenti veri (e non di quelli finti del
gioco pluralistico delle parti), ereditata dal costume staliniano-togliattiano,
ha fatto di Gianfranco La Grassa (ma non solo di lui) un pensatore escluso
dal gioco delle segnalazioni e delle recensioni. Il "politicamente
corretto" è una divinità più crudele di quelle
assiro-babilonesi di biblica memoria.
Fonte del presente articolo è il sito web Kelebek http://www.kelebekler.com
Introduzione al pensiero marxista di Gianfranco La Grassa secondo Costanzo Preve