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(fonte Conflitti e strategie)
Questo è uno dei primi articoli del Prof. Gianfranco La Grassa, economista e saggista, che viene ospitato in questo sito. Gianfranco La Grassa è professore emerito di politica economica alle università di Pisa e Venezia(quì una sua breve biografia con le ultime sue pubblicazioni). Ha scritto decine di saggi pubblicati con le più importanti case editrici italiane, da Editori riuniti a Feltrinelli, e parecchi suoi studi hanno avuto traduzioni in varie lingue.
Per fare conoscere il pensiero di Gianfranco La Grassa viene pubblicato in altre pagine una introduzione che scrisse qualche anno addietro il compianto Costanzo Preve.7 febbraio 2018.
Un altro sintomo della situazione multipolare, oltre alla “grande stagnazione”.
Una botticina alla Borsa di New York (da cui del resto partì la crisi
del 1907 e non solo quella più famosa del ’29). Ancora una volta,
l’interpretazione è tutto sommato sballata, cioè vede la
superficie e non il “sottosuolo”. Si parte dalla paura dell’inflazione
che ha “bucato” la bolla della Borsa (ma non si diceva che si trattava
di un segnale dell’ottima salute economica generale? Adesso è una
bolla); poi si arriva alla paura per l’eccessivo aumento dei salari. Nel ’29,
a crisi scoppiata, l’economista liberista “tradizionale”, Cecil
Pigou, adduceva come causa della stessa proprio l’eccessivo innalzarsi
delle paghe salariali. Rispose pressoché subito Keynes adducendo tesi
di fatto opposte; una carenza di domanda “privata” (per gonfiamento
dei risparmi in una società ad alto reddito). In modo paradossale, per
far meglio capire ai “ritardati” ciò che voleva sostenere,
disse perfino che sarebbe stato utile assumere operai per scavare buche e poi
ricoprirle. Ci sarebbe stata una più alta massa salariale, utile per accrescere
la domanda. Ci poteva essere un iniziale aumento dell’inflazione, ma si
sarebbe rimessa in moto la macchina produttiva, inattiva appunto per la caduta
della domanda e quindi si sarebbe trattato di un fenomeno transitorio (mentre,
se continuava la crisi, ci sarebbe stato un crollo dei prezzi e un avvitarsi
a spirale della stessa). Il New Deal in ogni caso si diede alla crescita della
spesa (domanda) pubblica, con grandi opere infrastrutturali. Tuttavia, il rimedio
era solo temporaneo. Infatti già nel ’36, e negli anni successivi
ancor di più, la ripresa fu in fase evidente di arenamento. Fu la guerra
a risolvere definitivamente la crisi. Ma gli economicisti (compresi alcuni keynesian-marxisti
come Sweezy) insistettero nella spiegazione legata alla domanda. La guerra aveva
indotto un grande sviluppo degli armamenti, cioè si producevano beni – pagando
imprese e lavoratori e accrescendo quindi la spesa di consumo (e investimenti) – che
poi non affluivano al mercato perché erano usati in guerra e magari andavano
perfino distrutti, quindi non ingombravano il mercato con un’offerta in
crescita. Anche questa misura sarebbe stata del tutto transitoria nei suoi effetti;
solo che dallo scontro bellico nacque il mondo bipolare; e uno dei poli, quello
in maggiore sviluppo, era “governato” dagli Usa, che quindi regolavano
in qualche modo l’insieme. Ci furono ancora brevi crisi, quelle solite
e periodiche tipiche di questo sistema sociale, ma che furono non a caso denominate “recessioni” perché ritenute
una semplice fisiologica “pulsazione ritmica”. Insomma, eravamo nella
fase monocentrica. Il multipolarismo vedrà ben altri fenomeni nei prossimi
anni e, direi, decenni.
I grafici di consumo dell'energia elettrica e del PIL pro-capite rispecchiano in modo profondo le condizioni economiche di un paese: il grafico sottostante chiarisce la debolezza dell'Italia e scredita le promesse pre-elettorali dei politici
7 febbraio 2018. Il grafico sopra esposto mette in evidenza le difficoltà economiche dell'Italia. In Italia dal 2007 a questa parte c'è una preoccupante analogia tra la discesa del PIL pro-capite e il consumo di energia elettrica pro-capite. La diminuzione del consumo di energia non è completamente giustificabile dall'uso di macchinari ed elettrodomestici a più basso consumo energetico. Il grafico da un vero quadro della situazione economica del paese Italia, anche se fermo al 2015. Negli ultimi due anni il PIL è aumentato in senso lato, ma considerando il PIL pro-capite l'Italia è rimasta al palo. Questo il commento del Sole24Ore sui dati del PIL pro-capite di Eurostat: "Nel 2016 il Pil pro-capite italiano, fatta 100 la media Ue, è risultato pari a 97 rispetto a 95 dell’anno precedente, mentre quello misurato in Spa è passato da 96 a 97. Al primo posto di entrambe le classifiche Eurostat figura il Lussemburgo seguito da Germania, Austria, Gb, Finlandia, Danimarca, Belgio, Francia, Olanda e Svezia. Nella graduatoria per Spa c’è poi l’Italia seguita dall’Irlanda, mentre in quella del Pil pro-capite il nostro Paese scende al dodicesimo posto poichè l’Irlanda, con un valore di 183, si colloca alle spalle del Lussemburgo."
Se c'è calo di consumi elettrici nonostante che la popolazione aumenti, come accaduto in Italia(secondo l'ISTAT i residenti in Italia erano 59.619.290 nel 2007 e 60.589.445 nel 2016), si deve arguire che le attività produttive sono in netta diminuzione. Tra le attività in netta diminuzione ci sono senz'altro quelle commerciali e quelle industriali: meno capannoni in attività e meno negozi aperti giustificano la diminuzione di consumo di energia.
In questo periodo pre-elettorale i partiti fanno promesse irrealizzabili. Dovrebbero semplificare e additare le riforme realizzabili: cioè sostegno al lavoro e ai piccoli imprenditori e piccoli commercianti, in modo che riaprano capannoni e negozi(ndr).