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(fonte Conflitti e strategie)
Il prof. Gianfranco La Grassa, economista e saggista, di cui si pubblicano le opinioni in questo sito è professore emerito di politica economica alle università di Pisa e Venezia(quì una sua breve biografia con le ultime sue pubblicazioni). Ha scritto decine di saggi pubblicati con le più importanti case editrici italiane, da Editori riuniti a Feltrinelli, e parecchi suoi studi hanno avuto traduzioni in varie lingue.
Per fare conoscere il pensiero di Gianfranco La Grassa viene pubblicato in altre pagine una introduzione che scrisse qualche anno addietro il compianto Costanzo Preve.14 aprile 2018.
Sarebbe in effetti ora che si cominciasse a riunirsi. Non come “Internazionale
proletaria”. L’idea non era semplicemente utopistica o “romantica”;
nasceva da una attenta analisi del primo capitalismo “avanzato”,
dove era appena terminata la “prima rivoluzione industriale” (1760/1830-40),
cioè l’Inghilterra, che ne “Il Capitale” Marx indica
non a caso come il suo “laboratorio”. Il grave problema del marxismo
successivo è di non aver tenuto conto che quel primo capitalismo non era
il capitalismo tout court. Quello Usa è assai diverso. Nel lontanissimo
1941, un ex trozkista (divenuto ferocemente antisovietico) come Burnham fece
un’analisi comunque assai progredita per l’epoca, chiarendo che cosa
significava la “rivoluzione manageriale”. Tuttavia, oggi avremmo
bisogno di un nuovo “Il Capitale” (soprattutto il I libro, lasciando
in sottordine la sistemazione engelsiana del II e III, una serie di appunti sparsi
e scritti da Marx ben prima del I libro da lui pubblicato) per la formazione
sociale degli Stati Uniti. Marx è stato il “Galileo” della
teoria della società; ancora si è in attesa di un Newton, figuriamoci
quanto manca ad un Einstein.
Comunque, è per il momento evidente, a mio avviso, che i successivi sviluppi
industriali hanno posto in luce la non rivoluzionarietà della cosiddetta “classe
operaia” (che è diventata quella delle “tute blu” mentre
in Marx era il corpo dei produttori associati “dal primo dirigente all’ultimo
giornaliero”), capace di grandi (e sacrosante) lotte per mutare i rapporti
di distribuzione, ma non affatto quelli di produzione (cioè “di
casse”). Si è invece sviluppato quel coacervo di gruppi sociali
denominato, molto genericamente, ceto medio (o ceti medi; più corretta
la dizione poiché si tratta di un coacervo di più strati e comparti
sociali). In una situazione simile – e in mancanza di attenta indagine
per capire dove possa situarsi un antagonismo netto che conduca alla trasformazione
dei rapporti sociali – diviene più essenziale lo scontro tra diverse
formazioni “particolari” (in definitiva i vari paesi). Del resto,
siamo chiari: anche i grandi rivolgimenti novecenteschi sono avvenuti come conseguenza
di violenti conflitti del tipo delle due guerre mondiali. Oggi ancor più – e
ancor più nella situazione di crescente multipolarismo che stiamo vivendo – dobbiamo
porre prevalente attenzione ai conflitti inter-nazionali (tra paesi e gruppi
di paesi). Da qui prenderanno spunto anche i conflitti più acuti di carattere
interno.
Non è un caso che, ancor oggi, si possa recitare la commedia della “democrazia” elettorale.
Perché la tipologia del conflitto è tuttora di tipo largamente
mercatistico. I vari movimenti politici si comportano come le imprese in concorrenza:
fanno pubblicità ai loro prodotti in competizione nel mercato con quelli
delle altre imprese. Andando avanti, il conflitto diverrà ben diverso,
si dovrà lottare “alla morte” per la supremazia o anche per
la mera sopravvivenza. Allora, finalmente anche gli stolti si diranno: ma veramente
si pensava di risolvere i problemi con il giochetto della manipolazione degli
elettori? E sarà il momento dei “grandi eventi”, che esigeranno
le “grandi personalità”, ma solo come rappresentanti di veri
gruppi in lotta con l’uso di strategie ben più “toste” di
quelle mercantili. Finirà questa sensazione di degrado intellettuale e
di dissoluzione morale. E la si smetterà di dichiarare d’essere
diventati “superiori” perché finalmente si è “a-ideologici”.
La lotta di veri esseri umani, non ridotti a robottini (di cui si blatera di
donare loro l’intelligenza e perfino i nostri sentimenti), esige le ideologie,
le ferme credenze, la sensazione di lottare per un innalzamento del lato spirituale
di questo particolare essere animale; anche quando si perseguono finalità meno
nobili.
E muterà l’epoca. Sì, ci saranno tragedie, ci si spingerà alle
vette della generosità e abnegazione e della ferocia e crudeltà perfino
con punte di sadismo. Invece di divertirci a stupidi spettacoli da sottosviluppati
mentali, godremo di nuovo delle “tragedie greche”, di Shakespeare
e di tutti gli altri che hanno generato la nobiltà della cultura umana
in ogni ambito dell’arte e della letteratura; e della filosofia e della
scienza (quella vera) e non solo nelle “meraviglie” della tecnologia.
Siamo dei bambolotti di pezza, si ridiventerà appartenenti al genere umano;
perfino nelle sue bassezze, che non saranno comunque così banali e disarmanti
come quelle odierne.
Però appunto, dobbiamo cominciare a riunirci e a pensare nuovamente secondo
direttrici di notevole spessore. Cosa crediamo di fare in questo luogo di sfogo
di nervosismi, di malesseri e disagi, restando ognuno confinato nella sua paginetta.
Via via, muoviamoci. E siano i più giovani e vigorosi a dare inizio “alle
danze”.