Pagine di Gianfranco La Grassa

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QUALI NUOVI CONFLITTI E PROSPETTIVE?

(fonte Conflitti e strategie)



Questo è uno dei primi articoli del Prof. Gianfranco La Grassa, economista e saggista, che viene ospitato in questo sito. Gianfranco La Grassa è professore emerito di politica economica alle università di Pisa e Venezia(quì una sua breve biografia con le ultime sue pubblicazioni). Ha scritto decine di saggi pubblicati con le più importanti case editrici italiane, da Editori riuniti a Feltrinelli, e parecchi suoi studi hanno avuto traduzioni in varie lingue.

Per fare conoscere il pensiero di Gianfranco La Grassa viene pubblicato in altre pagine una introduzione che scrisse qualche anno addietro il compianto Costanzo Preve.

QUALI NUOVI CONFLITTI E PROSPETTIVE?

Prenderò le mosse, per semplicità, dal referendum regionale italiano. Si è notata una notevole affluenza solo nel Veneto, non proprio esaltante invece per i promotori il risultato lombardo. Nessuno ha preso in considerazione, almeno a quanto ne so, la causa principale, almeno credo, della netta differenza. Questa mi sembra dipendere soprattutto dalla presenza in Lombardia di una città come Milano. Il comune ha 1.300.000 abitanti, l’area metropolitana va oltre i tre milioni. Nel Veneto, le tre maggiori città – Venezia/Mestre, Verona e Padova – stanno tra i 260 e i 210.000 abitanti; sono cioè oltre 10 volte più piccole dell’area milanese. Essendo andata male l’affluenza a Milano, quella complessiva ne ha nettamente risentito. Il problema sembra quindi riguardare la differenza tra situazione sociale nelle grandi città – poche in Italia; salvo due, tutte sotto il milione e 4-5 tra mezzo milione e un milione – e nella, diciamo così, “provincia” (che vive evidentemente un malessere, non soltanto né tanto economico, decisamente superiore). Tale differenziazione è qualcosa che riguarda un po’ tutta Europa e pure gli Usa (quindi, diciamo, tutto l’“occidente” capitalisticamente “avanzato”).
L’intervista a Bannon (apparsa da noi integralmente in Matrix, TGcom 24 e che metto a fine articolo) è particolarmente significativa a tal proposito, pur se è poi a mio avviso molto ottimistica; il mondo dovrà in realtà passare attraverso belle crisi generali (non parlo di quelle economiche, ma soprattutto di quelle sociali e anche belliche). Tuttavia, ci sono spunti di grande interesse per quanto riguarda appunto la crescente contraddizione tra élites “cittadine” e ceti popolari della provincia; è inoltre particolarmente incisiva quando parla della Nato, della UE, del Giappone e Corea del sud quali protettorati americani, che gli Usa non potranno più permettersi a lungo nel futuro. Lui ne trae certe conclusioni positive (e di cooperazione tra i vari paesi) a mio avviso non credibili, ma tale processo si verificherà e si dovrà prenderlo in considerazione nelle ipotesi relative al multipolarismo e poi conflitto policentrico dei prossimi decenni.
Il discorso, diciamo di tipo sociologico, non va sottovalutato pur se è ancora rudimentale. Esistono le “èlites”, che indicherei in realtà soprattutto come ceti alti e medio-alti, ma soprattutto abitanti nelle grandi città “internazionalizzate”, dove perfino la “gente” di più basso ceto sta subendo l’influenza di tali élites più abbienti e tende così a perdere in gran parte i caratteri nazionali, credendosi – spesso solo immaginariamente – lanciata in spazi cosmopolitici. Mentre in città minori e paesini ecc. le popolazioni vivono condizioni economiche, sociali e culturali ben diverse e cresce quindi la distanza di questi agglomerati sociali, indicati più o meno correttamente quali “ceti medi e masse popolari”, rispetto a quelli delle grandi città.
Accanto a tali differenziazioni tra i ceti di ogni dato paese – dovute in parte ai diversi “spazi d’internazionalizzazione” – crescono le divergenze interne a quelle forze politiche, che ancora non si trova altro modo di definire se non con le storiche denominazioni di “destra” e “sinistra”, a volte ammorbidite con quelle, ancora più improprie, di “centro-destra” e “centro-sinistra”. Si tratta di accozzaglie di individui, che si credono personaggi politici (supportati da una congerie di ciarlatani malamente acculturati e spesso convinti d’essere intellettuali), asservite a gruppi diversi di “riccastri” ignoranti e senza radici d’alcun genere, formatisi in seguito al disfacimento di quella che fu fino ad un secolo fa una vera “grande classe”: la borghesia, annientata dal predominio di un paese di nuova formazione quale gli Stati Uniti, dove la commistione socio-culturale rende difficoltose reali “classificazioni”.
Detto questo in generale e tornando all’assai più limitato intento di queste mie argomentazioni, si deve sottolineare come ormai, pur nascosto sotto foglie di fico sempre più esili, il tentativo dei “poteri dominanti” italiani (al puro servizio di quelli americani e quindi oggi in confusione per la lotta interna agli Stati Uniti) mira a quello che sembra essere l’ultimo tentativo di imbrogliare le carte: arrivare, data la mancanza di qualsiasi schieramento pseudopolitico in vantaggio, ad un accordo tra sedicenti “sinistri” (al momento ancora guidati da Renzi) e melmosi “destri” ancora accalcati dietro a Berlusconi. La Lega di Salvini è stata singolarmente incapace di prendere le redini della situazione “a destra”; e tale partito va dividendosi tra chi è più sdraiato ai piedi del “nano d’Arcore” (Maroni) e chi vorrebbe semplicemente avere maggior peso nella “grigia schiuma” del “centro-destra”.
La meschinità e miseria del quadro politico, e anche culturale, italiano sono addirittura spaventose. Se tuttavia il nostro paese è come al suo solito il peggio del peggio, non si pensi a chissà quali avanzamenti (anche soltanto mentali) in altri paesi europei; e nemmeno negli Stati Uniti, dove ancora sembra prevalente il vecchio establishment che voleva Hillary alla presidenza, accompagnato però a questo punto anche da buona parte dei repubblicani. E’ indubbio che in un Bannon vi è qualche barlume di nuova consapevolezza; proprio per questo è forse da augurarsi che i settori anti-Trump riescano a farlo fuori. Accadrà come al tempo del watergate e della eliminazione di Nixon; gli Usa presero una bella lezione in Vietnam e andò loro bene solo perché l’Urss era nella fase della “cristallizzazione” brezneviana, che la condusse progressivamente all’indebolimento e poi all’implosione “gorbaciovian-eltsiniana”. Nei prossimi decenni è difficile che sarà così. Russia e Cina non sembrano per nulla in fase di declino ed eventuali errori come quelli del watergate potrebbero essere molto positivi per liberarsi del protettorato statunitense; a patto che in Italia ed Europa si affermino altre forze politiche e altri ceti intellettuali, capaci di spazzare via, di eliminare integralmente e minuziosamente la melma oggi esistente.
Dobbiamo porci in cammino, e sarà senza dubbio faticoso e assai incerto all’inizio, verso altri tipi di analisi politica e sociale. Comincia ad entrare in crisi (forse, non affermiamolo troppo recisamente) quel concetto, indubbiamente confuso e indeterminato, di “ceti medi”. Abbiamo queste élites speranzose di internazionalizzarsi (e convinte della globalizzazione, soprattutto del “divinizzato” mercato), che hanno occupato tutti gli spazi mediatici e quindi si trascinano dietro (ma per quanto?) alcuni strati sociali assai meno abbienti, che vivono negli spazi cittadini (in specie delle grandi città) dove tuttavia s’impoveriranno sempre più (e non mi riferisco principalmente al reddito, a mere condizioni economiche). Le loro prospettive diverranno più oscure e incerte. Negli ampi spazi “provinciali” (il che non significa che qui manchino i settori imprenditoriali di non poco conto lanciati verso l’estero), si avvertirà il peso delle risorse “succhiate” dai centri cittadini e dalle loro sempre più incartapecorite élites. Tali spazi, che si sentiranno defraudati, non possono essere semplicemente rappresentati da forze postesi nell’alveo del vecchio nazionalismo e dell’“amor patrio”. Alla fine, simili forze saranno sempre battute o comunque messe in minoranza da élites che magari abbandonano i vecchi arnesi (del tipo degli schieramenti politici che hanno imperversato negli ultimi decenni e che sono in affanno); arriveranno sempre più Macron, sempre più Kurz, ecc.
Bisogna porsi in una nuova ottica, capire che un’epoca si è ormai chiusa. I “reperti archeologici”, che insistono a definirsi progressisti mentre sono ormai dei “morti viventi”, non sapranno rinunciare a vecchi miti del passato (tipo l’antifascismo, corroborato dall’anticomunismo dei loro evanescenti oppositori), ormai in fase di arrugginimento e disgregazione. Lasciateli fare (come nell’ultimo caso degli “ultras” laziali), si stanno tagliando l’erba sotto i piedi. Non imitateli, però, contrapponendo loro vecchie ideologie che hanno scaldato il cuore, ma sono ormai pezzi da museo. E’ vero: siamo in difficoltà con i tempi che stanno avanzando. E’ normale; quando si è nel mezzo di una nuova epoca storica, non la si capisce d’emblée, si deve avere la pazienza di pensare, riflettere, lasciar da parte le “immediatezze” tipiche degli strumenti elettronici. Non esiste nessuna soluzione “in tempo reale”. Il pensiero riflettente, sviscerante, attento a cogliere realmente i sintomi del nuovo malessere crescente, non è come smanettare sugli smartphones e simili. Abituatevi a pensare o altrimenti diventerete i robot di élites sempre più distruttive della nostra civiltà, da conservare comunque gelosamente pur nelle nuove condizioni di conflitto che si apriranno a ben diverse soluzioni rispetto a quelle del passato. Continuerò ad insistere: cari giovani, volete muovervi e alzare gli occhi dai vostri mezzi di rimbecillimento progressivo?

Introduzione al pensiero marxista di Gianfranco La Grassa secondo Costanzo Preve

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