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(fonte Conflitti e strategie)
Questo è uno dei primi articoli del Prof. Gianfranco La Grassa, economista e saggista, che viene ospitato in questo sito. Gianfranco La Grassa è professore emerito di politica economica alle università di Pisa e Venezia(quì una sua breve biografia con le ultime sue pubblicazioni). Ha scritto decine di saggi pubblicati con le più importanti case editrici italiane, da Editori riuniti a Feltrinelli, e parecchi suoi studi hanno avuto traduzioni in varie lingue.
Per fare conoscere il pensiero di Gianfranco La Grassa viene pubblicato in altre pagine una introduzione che scrisse qualche anno addietro il compianto Costanzo Preve.ARRIVIAMO PREPARATI ALLA NUOVA EPOCA CHE S’APRE
Non pretendo certo di considerare la quota di “amici” che ho qui
come un campione credibile. Tuttavia, alle volte qualche indicazione può essere
tratta dall’atteggiamento di costoro. E’ del tutto evidente lo scarso
successo dell’articolo da me messo e che riportava il sondaggio di scenarieconomici.it
in merito ai favori che riscontrerebbe in Italia un eventuale (ma solo immaginato
al momento) colpo di Stato militare. Ho anche aggiunto un mio commento con preferenza
per altro tipo di presa del potere, che riscuota l’appoggio di una buona
parte della popolazione e invece la contrarietà di quella parte ancora
irretita da coloro che sono riusciti a farsi credere eredi di una prospettiva
di completo cambiamento della strutturazione dei rapporti sociali. La quota della
popolazione che ancora concede fiducia a tali imbroglioni – e che viene
del tutto impropriamente e con grave errore di interpretazione storica definita “sinistra” – proviene
dai “lidi” della “rivoluzione proletaria” ormai divenuta
semplice e risibile speranza di capovolgimento delle posizioni tra ricchi e poveri.
Un altro fatto sembra piuttosto evidente. Quelli che hanno in qualche modo capito
a quale terribile degrado stia portando la degenerazione della tendenza rivoluzionaria
d’un secolo fa – oggi appunto ridotta a semplice pietismo, spesso
ipocrita, per chi ha meno fortuna nella società odierna – brontolano
e inveiscono contro questa ormai solo ipotetica “sinistra” (vero
handicap della società “occidentale” odierna e di quella italiana
in modo del tutto speciale), ma sono pur essi un po’ rimbambiti e imbevuti
di credenza in una “democrazia”, che è semplicemente la recita
elettorale. Le elezioni sono periodici (ogni tanti anni) sondaggi di opinione
tra la popolazione investita dalla propaganda mediatica di gruppi di meschini
personaggi, travestiti da uomini politici del tutto proni di fronte ai grandi
centri strategici (che non sono soltanto economici e tanto meno semplicemente
finanziari) dotati del reale potere. Tali centri di potere, in competizione tra
loro, creano i sedicenti partiti. Il loro comportamento è quello normalmente
utilizzato dalle grandi imprese produttrici, che so, di saponette, di profumi,
e di ogni altro bene di consumo oggi in voga; tali organizzazioni entrano in
accesa competizione anche (e talvolta soprattutto) tramite la pubblicità,
in cui si raccontano fior di panzane circa gli strepitosi pregi dei loro prodotti.
Nulla di diverso fanno i vari partiti per conto dei suddetti centri di potere.
E le elezioni “democratiche” sono nient’altro che il risultato
di tale atteggiamento tipo vendita del “migliore” smacchiatore o
detersivo, ecc. Questa farsa non ha nulla a che vedere con la democrazia; tanto è vero
che il successo di simile ideologia, propagandata a piene mani dagli Stati Uniti,
ha avuto successo sia per le indubbie condizioni oggettive che hanno consentito
una forte crescita della potenza militare statunitense, sia per il “felice” connubio
tra ceto dei politici e gangsterismo, assai efficace nell’apprestare quella
struttura – con i partiti ridotti opportunamente a due per semplificare
il quadro della competizione, anche se poi la situazione è in realtà assai
più complessa rispetto alle semplici etichette – in grado d’essere
assai flessibile e nel contempo piuttosto ben indirizzata tenuto conto della
potenza d’un paese, fatta ovviamente di forza militare e di dotazione di
sempre più avanzate strumentazioni belliche. Senza dubbio conta pure la
capacità di imporre semplici e schematici elementi costitutivi della “cultura
di massa” – quegli elementi che rendono le popolazioni sempre più stolide
e credulone – e di utilizzare efficacemente sofisticati apparati di cosiddetta
Intelligence (o Servizi).
Le più rilevanti “scosse” popolari del ‘900 – praticate
dai popoli sotto la direzione di élite preparate a guidare la parte veramente
attiva della popolazione secondo certi orientamenti in grado di prendere il sopravvento
su altri ormai stantii e dunque superati – hanno commesso gravi errori.
Non discuto minimamente delle indubbie tragedie o fenomeni umanamente condannabili
cui possono avere dato luogo; parlo del loro significato politico e di mutamento
delle strutture sociali, rilevato mediante un’analisi oggettiva e non soltanto
guidata da umori, condanne morali, orrore per certi eccessi che certamente scuotono
i nostri sentimenti. Secondo la mia opinione – senza dubbio influenzata
da fatti specifici riguardanti la mia pratica di vita (sempre impregnata di certe
scelte anche ideologiche) – la “rivoluzione d’ottobre”,
e ciò che ne è seguito, è stata l’esperimento più valido
fra le suddette “scosse”; e anche quello più duraturo e che
nei fatti ha lasciato ancora degli esiti positivi poiché, pur dopo il
crollo dell’Urss, non è sparito ogni effetto di tutta la storia
precedente. Ciò non è accaduto né in Russia né in
Cina, che sono non a caso i due veri paesi competitori degli Usa nella nuova
epoca di multipolarismo apertasi da almeno un decennio e in via di accentuazione.
Indubbiamente, quella rivoluzione (iniziata nel 1917) – come pure quelle
verificatesi in Italia e poi Germania e clamorosamente crollate in poco tempo – non
ha adeguatamente compreso che la potenza, indubbiamente costituita da apparati
bellici e d’informazione oltre che di centri direzionali dotati di indubbia
intelligenza strategica, si serve nell’era moderna della ricchezza creata
dagli apparati industriali, dalle ricerche innovative in campo tecnologico, ecc.
Ci sono fin troppi “ingenui” (definiamoli benevolmente così)
che credono ad una potenza economica e finanziaria decisiva e tuttofare; sarebbe
questa alla guida del mondo. Non si è capito che tale fonte di “ricchezza” è fondamentale
solo in quanto strumento delle strategie politiche condotte da gruppi organizzati,
e necessariamente ristretti, di individui dotati di forte “intuito” relativamente
alle situazioni oggettivamente favorevoli in cui intervenire, capaci di convincere
importanti quote delle masse popolari e di effettuare le “giuste mosse” per
ottenere il successo (a volte interviene anche la fortuna). Se questo complesso
di fattori, innervante la vera politica, non sussiste, non sono sufficienti tutte
le ricchezze del mondo per conquistare la supremazia. Tuttavia, non vi è dubbio
che tali gruppi in azione, pur opportunamente attrezzati in senso strategico,
sono favoriti – una volta ottenuta la preminenza e nel periodo di suo consolidamento – dalla
presenza nel paese di ottime potenzialità in merito alla produzione di
ricchezza.
L’ideologia della “rivoluzione proletaria” – per motivi
su cui ho scritto a lungo, ma che necessitano ancora di analisi e di conoscenza
storica – ha avuto indubbiamente effetti positivi nel primo periodo di
sviluppo di una società ancora eminentemente contadina (come quella esistente
in Urss, in Cina, ecc.); tuttavia, ha poi ostacolato e ritardato le successive
e “più raffinate” fasi evolutive. Adesso, soprattutto in Russia,
sembra si stia imparando la lezione. Tuttavia, si rischia di cadere sotto l’idea
malsana della “democrazia” quale semplice sondaggio d’opinione
elettorale. E’ necessario che le nuove potenze in crescita siano molto
attente nel valutare le future tappe del loro rafforzamento. Gli Usa hanno alla
fine vinto nella passata epoca (novecentesca), ma sembrano ora in relativo declino;
anche culturale e con la loro mania “democraticistica” del tipo banalmente
elettorale. Sono ancora potentissimi militarmente e in termini di creazione della
ricchezza. Tuttavia, sembrano in difficoltà per quanto riguarda una nuova
indispensabile spinta all’entusiasmo della parte più attiva della
popolazione, che dovrebbe ormai scatenarsi contro i prodotti “cancerogeni” della “democrazia” detta
liberale. Bisogna conciliare, cioè saldare, lo sviluppo industriale e
tecnologicamente innovativo con una nuova forte convinzione in merito ai “destini
d’un popolo”. Evitando le sciocche (perché sono sciocche,
non solo fonte di orrori) aberrazioni “razziali”, alla fine negative
per quanto concerne la tensione alla supremazia, che deve andare ben oltre il
livello della repressione di ogni dubbio (invece spesso positivo e da non conculcare).
Per ottenere il predominio, bisogna conquistare una popolazione; cioè solo
una parte perché vi sarà sempre la divisione tra chi alla fine
aderisce alla novità e chi resiste sulle vecchie fole. Quest’ultimo
va combattuto con radicalità, ma senza appunto ricorsi diversivi tipo
l’inesistente superiorità razziale o l’avvento dell’“associazione
dei produttori cooperanti”, che avrebbe dovuto travalicare il capitalismo
(ormai già ben diverso da quello studiato e “predicato” da
oltre un secolo a questa parte) per andare in direzione del socialismo e poi
comunismo. Svanita, e per sempre, questa credenza così importante per
gli eventi del XX secolo (malgrado alcuni superstiti ormai simili agli anarchici
nel ‘900 dopo un certo successo nell’800), dobbiamo renderci infine
conto d’essere entrati nella tipica fase di transizione ad una nuova epoca
della storia delle pur differenti società esistenti.
Ricordiamoci sempre sia dell’hegeliana nottola di Minerva che s’alza
in sul far della sera, sia dell’avvertenza marxiana che l’analisi
raggiunge la sua maggiore credibilità “post festum”. Non si
pretenda di saper oggi dire con certezza quali trasformazioni sono in corso.
Bisogna però abbandonare al più presto le vecchie credenze, le
superate ideologie; poiché le vetuste e talvolta ingombranti teorie della
società sono per l’appunto divenute in larga parte delle ideologie,
delle nuove forme di “fede” del tutto improvvide. La fede va lasciata
alle religioni – e lo dico senza alcuna irrisione o sottovalutazione di
quanto appartiene a tutta la storia dell’umanità e che non verrà mai
superato dalla scienza come pensava ridicolmente il positivismo ottocentesco
(e non solo, ne abbiamo anche oggi esempi) – mentre dobbiamo seguire le
trasformazioni profonde sia dell’organizzazione dei rapporti internazionali
tra i vari paesi, sia delle strutture dei rapporti sociali esistenti in questi
paesi, da raggruppare spesso secondo determinate “sfere territoriali” (dotate
di cultura e tradizioni relativamente comuni) della società mondiale.
Quindi: animo, darsi da fare. E’ indispensabile intanto procedere tramite
ipotesi, pensate e formulate dopo il massimo possibile di attenzione ai caratteri
dell’epoca che avanza. Dobbiamo, tuttavia, fare nostro il motto “sbagliando
s’impara”, nel suo senso più profondo; cioè sbagliare
proprio per imparare. E’ necessario compiere analisi nel modo più approfondito
possibile e poi formulare comunque delle ipotesi conclusive basate su di esse,
tuttavia consapevoli che incorreremo in errori più o meno gravi. Saranno
però molto più gravi, anzi definitivi, se continuiamo con la solita “retorica” del
vecchio bagaglio teorico (ormai “liquefatto” in ideologia) da noi
certamente controllato con maggiore disinvoltura e sicurezza. Si tratta, però,
di un atteggiamento del tutto errato, frutto della nostra incapacità di “cambiare
d’abito” quando muta il “clima” in cui dobbiamo muoverci.
Nemmeno, certamente, vanno formulate ipotesi senza la benché minima prudenza
nel valutare le condizioni, che ci appaiono esistenti nel tempo e nel luogo cui
dedichiamo la nostra attenzione. Malgrado ogni nostra precauzione commetteremo
errori perché siamo nel “mezzo dell’oceano” (la nuova
epoca) e non vediamo ancora “terra all’orizzonte”. Via via
correggeremo la “rotta”, ma indirizzandoci assai diversamente rispetto
al passato, abbandonando quello stupido bordeggiare la costa già conosciuta
e ormai ridotta ad un deserto inospitale.
La gran massa delle persone ha già tanto da pensare per navigare nella
più stretta quotidianità, magari allungata a qualche mese o pochissimi
anni; fra l’altro, al fine di ottenere quelle condizioni (materiali) confacenti
ai più immediati e stringenti bisogni e desideri, tipica “attrezzatura” (anche
mentale) delle “maggioranze”. Come in ogni attività umana,
devono esistere gruppi decisamente ristretti dediti al tentativo di comprendere
le caratteristiche più complesse dei “tempi” in cui si svolge
la vita sociale; caratteristiche che, nelle epoche di transizione, diventano
appunto assai poco note e spesso sorprendenti, spiazzanti, squilibranti. Rivolgo
dunque insistentemente l’invito ai giovani (non di primo pelo, spero sia
chiaro) perché si formino piccole ma agguerrite “squadre” di
analisi, studio, formulazione e sperimentazione di nuove ipotesi. I più vecchi,
sempre senza pretendere i “grandi numeri”, devono dedicarsi alla
spietata messa in discussione di tutte le ideologie passate, delle falsità raccontate,
per ignoranza o mala fede, da storici che hanno raggiunto negli ultimi decenni
la più sconsolante indecenza intellettuale (salvo le usuali rare eccezioni).
Ripeterò senza sosta l’invito a mettersi insieme e a imparare (sbagliando)
il “nuovo”, nel mentre si dichiara apertamente guerra al “vecchio”.
Si “uccidano” i tromboni di una “sapienza” putrida, che
ormai ricopre di melma ogni minima particella di conoscenza. Sia chiaro: si tratta
di reali “assassini” e non meritano rispetto né pietà alcuna.
Se li “lasciamo vivere” ancora a lungo, annienteranno ogni possibilità di
arrivare preparati al compimento definitivo della nuova epoca (per il momento
in evoluzione) onde affrontare le “procelle” che sempre si scatenano
in quel frangente storico.
Però, cari giovani (e anche meno giovani), liberatevi della “cretinaggine” elettoralistica.
Non è democrazia; finché non si guarisce da questa “lunga
ossessione” neppure verrà superato il predominio americano. Nel
secolo scorso ci sono stati alcuni tentativi di vincerlo, ma alla fine sono risultati
rozzi e con errori di previsione (degli sviluppi delle relazioni internazionali
e delle strutture sociali) estremamente gravi e decisivi. Alcuni di questi tentativi
nemmeno hanno ben capito che il “capitalismo” (o quello che è)
degli Stati Uniti era il vero dominatore del secolo; consideravano ancora prevalente
l’Inghilterra.
Temo che occorrerà un lungo apprendistato per liberarsi del virus della “democrazia”;
Decidetevi a sopprimerlo in voi.
Introduzione al pensiero marxista di Gianfranco La Grassa secondo Costanzo Preve