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Workaholism: i sintomi della dipendenza dal lavoro
Data articolo:Thu, 24 Apr 2025 07:49:24 +0000

Negli ultimi anni, il termine “workaholism” è diventato sempre più frequente per descrivere una condizione in cui il lavoro prende il sopravvento sulla vita di una persona, trasformandosi in una vera e propria dipendenza. Così come si può sviluppare una dipendenza da sostanze, è possibile che anche il lavoro diventi uno strumento per sfuggire alle difficoltà e regolare le emozioni negative. Tuttavia, dedicare al lavoro la maggior parte delle proprie energie e tempo rischia di compromettere l’equilibrio personale e sociale, con effetti dannosi sia a livello fisico che mentale.

Ne parliamo con il dottor Andrea Catena, psicologo e psicoterapeuta di Humanitas PsicoCare.

Cos’è il workaholism e quali sono le cause

Il workaholism, o dipendenza dal lavoro, si manifesta come una forma di compulsione che porta a dedicare in modo eccessivo il proprio tempo e le proprie energie all’attività lavorativa, fino a compromettere il benessere personale e le relazioni sociali. È una forma di dipendenza comportamentale simile a quella da sostanze, dove il lavoro viene utilizzato per regolare e nascondere emozioni negative. La condizione, pur non riconosciuta formalmente come disturbo psicopatologico, è una sindrome con sintomi specifici che tende a intensificarsi nel tempo, intaccando la qualità della vita e il funzionamento quotidiano della persona.

Le cause che portano alla dipendenza dal lavoro possono essere diverse. Esistono fattori sociali e culturali che incoraggiano l’iperproduttività come segno di successo e validità personale, in particolare nelle società occidentali. In culture in cui l’abnegazione al lavoro è considerata un valore, come in Giappone, il fenomeno è oggetto di studio per i rischi di salute che comporta. A livello psicologico, caratteristiche come il perfezionismo, la bassa autostima o una rigidità cognitiva favoriscono l’iperinvestimento nel lavoro. Inoltre, un ambiente familiare che enfatizza la dedizione assoluta al lavoro può contribuire a formare questa predisposizione.

Anche fattori neurobiologici possono influire: si ipotizza un coinvolgimento del sistema della dopamina, il neurotrasmettitore legato alla ricompensa e alla soddisfazione, che può portare alcune persone a cercare continuamente nel lavoro una gratificazione che non riescono a ottenere altrove.

I sintomi del workaholism

La dipendenza dal lavoro può manifestarsi attraverso una gamma di sintomi psicologici e fisici. I sintomi psicologici includono un costante stato di allerta, ansia e pensieri ossessivi legati al lavoro, mentre tra quelli comportamentali spiccano la tendenza a superare sistematicamente le ore di lavoro e a trascurare il tempo per sé e per gli altri. Sul piano fisico, le persone con workaholism possono sperimentare sintomi somatici come tensioni muscolari, frequenti mal di testa, disturbi del sonno e problemi gastrointestinali.

Con il tempo, il workaholism può portare a livelli elevati di stress, che si riflettono in irritabilità e scatti di rabbia, compromettendo le relazioni con i colleghi e in ambito familiare. Questi sintomi rappresentano segnali importanti che non devono essere ignorati e indicano un bisogno di intervento.

Come gestire e curare il workaholism

Riconoscere la dipendenza dal lavoro è il primo passo per poterla affrontare. La psicoterapia è il metodo più efficace per la gestione del workaholism, poiché consente di individuare e lavorare sulle radici psicologiche della dipendenza e delle emozioni negative che essa nasconde. Ogni percorso di recupero è soggettivo, poiché si basa sulla storia e sul vissuto personale della persona, e mira a ristabilire un equilibrio tra vita lavorativa e vita personale, favorendo il benessere generale.

Anche l’adozione di alcune pratiche comportamentali può essere utile per ridurre la compulsione al lavoro. Definire dei limiti orari, riservare tempo a hobby e attività ricreative, e promuovere uno stile di vita sano sono tutte strategie efficaci. Infine, il supporto familiare e sociale è cruciale per aiutare la persona a superare la dipendenza, restituendole una prospettiva di vita più bilanciata e meno incentrata sul lavoro.

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A cura di cmaddaleni
Ritorno dalle vacanze: i sintomi del post-vacation blues
Data articolo:Thu, 24 Apr 2025 07:45:43 +0000

ll termine “post-vacation blues” o “post-holidays blues” descrive una reazione psicofisica che si manifesta al ritorno alla routine quotidiana, in contrasto con i ritmi più distesi delle vacanze. 

Per molte persone, infatti, le vacanze rappresentano un momento unico in cui è possibile allontanarsi dalla consueta routine, offrendo al corpo e alla mente l’opportunità di rallentare. Una volta terminato questo periodo, l’immersione improvvisa nella quotidianità e il brusco ritorno ai ritmi frenetici – sia sul piano emotivo, sia su quello fisico – con tutte le responsabilità e preoccupazioni connesse, può provocare un diffuso senso di malessere

Questa sindrome si caratterizza per la comparsa di sintomi depressivi e/o ansiosi che possono insorgere immediatamente dopo il rientro. Tornare al lavoro, allo studio o alle normali attività quotidiane è una sfida per tutti, ma per alcuni risulta particolarmente faticoso. A differenza della depressione clinica, però, il post-vacation blues è una condizione temporanea e gestibile. 

Ne parliamo con il dottor Pietro Ramella, psicologo e psicoterapeuta di Humanitas Psico Care.

I sintomi del post-vacation blues

I sintomi più comuni del post-vacation blues possono coinvolgere sia la sfera mentale sia quella fisica, e potrebbero essere legati al funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.

Tra i sintomi mentali, si possono riscontrare: 

  • apatia/piattezza emotiva
  • sensazione di vuoto emotivo
  • difficoltà di concentrazione
  • ridotta iniziativa
  • irritabilità
  • nervosismo
  • aumento dell’ansia
  • malinconia/tristezza
  • demoralizzazione con rimuginio
  • sbalzi d’umore. 

I sintomi fisici sono: 

  • spossatezza
  • tensione muscolare
  • affaticamento non legato ad attività fisica
  • cefalea
  • insonnia o calo della qualità del sonno
  • problemi digestivi. 

Fatica al ritorno dalle vacanze: cosa fare?

I sintomi potrebbero manifestarsi anche negli ultimi giorni di vacanza, specialmente se il rientro è programmato a ridosso della ripresa delle attività scolastiche o lavorative. In questi casi, alcune strategie possono aiutare: 

Esercizi di rilassamento e meditazione possono contribuire a ritrovare il senso del “qui e ora” durante la vacanza, favorendo sia il sonno che un rilassamento quotidiano più profondo. Praticati nel corso della giornata, questi esercizi possono aiutare a raggiungere uno stato mentale propizio per riflettere sul nostro benessere e decidere se concentrare la nostra attenzione sul rientro, pianificare le attività future o continuare a godere pienamente degli ultimi momenti di vacanza. Non sempre è chiaro quale sia la scelta migliore, ma dedicare brevi periodi durante gli ultimi giorni di vacanza alla pianificazione delle attività post-rientro può facilitare un ritorno più sereno. È importante, tuttavia, che questi momenti siano ben definiti e concordati con chi è in vacanza con noi, evitando che si trasformino in una fonte di stress. 

Se invece il rientro è stato pianificato con qualche giorno di anticipo rispetto alla ripresa delle attività, potrebbe essere controproducente iniziare a pensare agli impegni futuri mentre si è ancora in viaggio. 

La meditazione, la mindfulness e altre tecniche di rilassamento possono essere strumenti efficaci per ristabilire un equilibrio interiore, permettendoci di capire quale approccio adottare. 

Nel caso in cui si stia già seguendo un percorso psicologico, e in accordo con il proprio psicologo o psicoterapeuta, potrebbe essere utile contattare il professionista per fissare un incontro a distanza. Questo può aiutare a fare chiarezza su come ci si senta e su quali strategie adottare, soprattutto se i sintomi della sindrome descritta sono già evidenti e interferiscono con il benessere quotidiano.

Quanto dura il post-vacation blues?

Il post-vacation blues è transitorio e in genere dura qualche settimana ma, in alcuni casi, potrebbe prolungarsi. Se questo succede, potrebbe essere indice di un problema più serio, magari legato ad ansia e depressione, specie nelle persone più inclini a sviluppare questa sintomatologia, a causa dell’interazione tra la genetica e l’ambiente. 

In caso di incertezza o se si manifestano anche solo alcuni dei sintomi sopra descritti, una prima visita psicologica può rappresentare un’opportunità preziosa per chiarire dubbi su come ci si senta dopo il rientro dalle vacanze. Sebbene la “sindrome da rientro” non debba necessariamente evolvere in qualcosa di più serio, come in ogni ambito medico, la prevenzione è fondamentale per individuare tempestivamente situazioni in cui i sintomi richiedano un ulteriore approfondimento.

È importante consultare uno specialista se i sintomi si presentano in modo particolarmente intenso e/o persistono per diverse settimane, compromettendo significativamente la qualità delle giornate. Ad esempio: 

  • se il sonno è disturbato al punto da causare sonnolenza diurna o difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane
  • se si nota un calo marcato della motivazione o difficoltà di concentrazione che impediscono di portare a termine le normali mansioni
  • se le preoccupazioni occupano gran parte della giornata, anche per questioni di scarsa rilevanza
  • se l’umore rimane basso per gran parte della giornata, con sentimenti di malinconia, demoralizzazione o tristezza che non sembrano giustificati dagli eventi
  • se l’umore fluttua improvvisamente tra picchi di felicità e tristezza senza cause apparenti
  • se si osserva un cambiamento nel modo in cui ci si relaziona con gli altri, come un aumento dell’isolamento
  • se si manifestano sintomi fisici come stanchezza, spossatezza, cefalea o problemi gastrointestinali non spiegabili da condizioni mediche diagnosticate.

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A cura di cmaddaleni
AYA: la storia di Giulia
Data articolo:Fri, 18 Apr 2025 08:45:27 +0000

Un percorso di dolore e determinazione

Ho raccontato tante volte la mia storia, eppure, ogni volta, non ho mai la sensazione di seguire un copione, ed è strano visto che sono un’attrice e seguire un copione è parte del mio mestiere. Nel settembre del 2022, alla vigilia di un importante debutto teatrale, mi sveglio con un dolore lancinante nella parte sinistra del torace. La diagnosi iniziale parla di una semplice nevralgia intercostale, così continuo a lavorare, ignara del fatto che il mio dolore nasconde qualcosa di molto più grave. Pochi mesi dopo, un dolore insopportabile alla spalla mi porta in ospedale. Un’ecografia cardiaca rivela un mixoma, un tumore benigno che occupa interamente l’atrio sinistro del mio cuore. L’intervento è urgente: il 30 dicembre vengo operata per rimuoverlo e la notte del 31 dicembre, ancora stordita dall’anestesia, sento gli infermieri in corridoio brindare al nuovo anno. 

La scoperta che cambia tutto

L’istologico, però, cambia le carte in tavola: non si tratta di un mixoma, bensì di un sarcoma dei tessuti nervosi periferici, un tumore raro e altamente maligno. I medici non sanno spiegarsi come non abbia sviluppato metastasi. Il caso è troppo complesso per l’ospedale che mi ha operata, quindi fra paure e incertezze cerchiamo un’altra strada. È così che con la mia famiglia e il mio fidanzato Davide, approdiamo all’Humanitas e conosciamo la Dottoressa Alexia Bertuzzi, Capo Sezione dell’Oncologia Medica dei sarcomi. Un paio di settimane dopo inizio le terapie all’Humanitas di Catania, nella mia Sicilia. Decido di far realizzare una parrucca di dread, acconciatura che ho sempre portato e amato, e che ho sempre associato a un senso di libertà. Mi riprometto di non lasciare il lavoro, di non venir meno a nessun impegno preso, di ritagliarmi, tra una terapia e l’altra, il tempo da poter dedicare al teatro, ma la chemio è più dura del previsto e mi costringe a fermarmi. Tra tutti, l’effetto collaterale che accuso maggiormente è proprio questo: la lontananza dal mio lavoro. 

La recidiva e una nuova consapevolezza

I controlli vanno bene, cerco di vivere ogni cosa all’ennesima potenza, mi sento al massimo della mia forza artistica. Sono felice e so di esserlo, desidero dare valore a ogni momento.
Tutto procede a gonfie vele per diversi mesi, ma l’8 marzo 2024 arriva la diagnosi di recidiva: il tumore è rinato nello stesso punto. È il giorno più doloroso della mia vita. Mi affido di nuovo all’Humanitas e alla Dottoressa Lucia Torracca, Responsabile dell’Unità Operativa della Cardiochirurgia, che mi parla di un’operazione eseguita in pochissimi centri nel mondo. La dottoressa mi spiega che studierà il mio caso insieme al Dottor Michael J. Reardon, un luminare della cardiochirurgia dell’Houston Methodist Hospital, con una vasta esperienza in questa tecnica chirurgica e che il Laboratorio 3D dell’Innovation Center di Humanitas realizzerà un plastico 3D del mio cuore sul quale lei e il suo team potranno studiare e preparare l’intervento.

Neanche un mese dopo entro in sala operatoria. I medici mi chiamano star perché il mio caso è davvero unico ed è motivo di ricerca e di sperimentazione. L’intervento è complesso, così prima di entrare in sala operatoria canto canzoni nella mia testa: avevo scelto esattamente a cosa pensare prima di addormentarmi. Mi risveglio in terapia intensiva e la ripresa è difficoltosa, così cerco conforto nei documentari sugli artisti, in particolare su Frida Kahlo e Van Gogh. La loro capacità di trasformare il dolore in arte, di affidare la propria più profonda tragedia al mondo, renderla universale, trasformarla in bellezza, renderla un dono o un cielo stellato, mi ispira. 

La rinascita sul palcoscenico

Dopo un lungo percorso di riabilitazione, mi sento demotivata e sterile come la stanza in cui mi trovo. Non vedo arredamenti, solo pareti bianche. Ogni forma di creatività mi ha abbandonato e arrivo a pensare di lasciare il teatro. Ma la vita mi sorprende ancora: un incontro con Teo Ciavarella, storico pianista di Lucio Dalla, mi riaccende la passione. Il mio intervento è perfettamente riuscito e posso finalmente tornare alla mia vita. Torno in scena con un cuore nuovo ed è come se fosse la prima volta, tremo tantissimo. Per consolidare la chirurgia affronto ancora un’altra chemio e infine la radioterapia al cuore. Voglio che le terapie siano una parentesi all’interno della mia vita, non che la vita sia una parentesi tra le terapie, ma mi sento stanca, vedo il mondo intorno a me andare avanti ed io costantemente costretta a fermarmi, a sedermi in panchina e guardare. Sono esausta. Invidio chiunque altro. Ma ancora una volta, provo a riprendere confidenza con un corpo e una voce nuovi e arriva un nuovo debutto. Lo spettacolo, ironia della sorte, si chiama “Heart Race”, e mi vede protagonista insieme a Davide il mio compagno. È la mia rinascita. La corsa del cuore arriva al suo traguardo. O forse non si arresta mai!

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A cura di mmaestri
Le storie di AYA: un cuore 3D per Giulia
Data articolo:Fri, 18 Apr 2025 08:36:31 +0000

Partendo dal Cancer Center di Humanitas, una strada pedonale in mezzo a un immenso prato verde ti conduce all’Innovation Building, sede del Laboratorio di Stampa 3D coordinato dall’Ingegnere Paolo Oliva. Percorro la strada insieme a Giulia che oggi incontrerà le persone che per quasi due settimane hanno lavorato notte e giorno per realizzare un Phantom del suo cuore malato, un organo sintetico che simulasse le stesse identiche proprietà meccaniche e geometria con annessa patologia.

È proprio l’Ingegnere Oliva ad accogliere Giulia, con un sorriso e una luce negli occhi che ben racconta la potenza di incontrare in carne ed ossa la persona per la quale, neanche un anno prima, a pochissime settimane dall’apertura del 3D Lab, lui e il suo team avevano messo in campo tutto il potenziale e le conoscenze possibili a supporto del team dei cardiochirurghi che avrebbero provato a salvarle la vita.

Un caso più unico che raro

“Siete in grado di stampare in 3D il cuore di Giulia per permetterci di avere la tranquillità di operare il suo vero cuore?” è la richiesta dei cardiochirurghi. L’operazione di cui aveva bisogno Giulia era un’intervento molto complesso ed eseguito raramente, il tempo per agire era poco e l’unica alternativa per i chirurghi era quella di volare in America, trovare un caso teaching e poi tornare in Italia per operare Giulia. Ma quel caso, essendo così raro, sarebbe potuto arrivare dopo mesi o non arrivare mai. Il team del 3D Lab non ci pensa neanche un secondo e pur non avendo mai stampato un cuore, si lancia in questa avventura. 

10 giorni, fianco a fianco, un radiologo e una ingegnera

È Nada Mansour, l’engineering specialist di segmentazione che progetta, slice per slice, il modello 3D del cuore con patologia di Giulia. Dieci giorni di progettazione e un giorno e mezzo di stampa fornendo, per ogni parte anatomica del cuore, il giusto materiale per ottenere, non solo la geometria perfetta, ma anche la consistenza meccanica delle singole parti. Un processo di segmentazione complicatissimo e un post processing digitale abbastanza impegnativo, un lavoro certosino per riconoscere tutte le strutture, miocardio, pericardio, polmonari, insieme al radiologo, partendo da immagini della tac, della risonanza funzionale e dell’ecocardio. Poi la corsa, quasi letterale, dall’Innovation Building fino al Cardiac Center nello studio della Dottoressa Torracca che, avendo il modello 3D fra le sue mani, inizia a studiare l’intervento con l’aiuto di un luminare della cardiochirurgia americana, il Professor Michael J. Reardon dell’Houston Methodist Hospital. 

La giusta serenità per operare

Dopo aver progettato tutte le singole fasi dell’intervento, alla Dottoressa Torracca mancava ancora un passo per acquisire maggiore sicurezza prima di operare Giulia: l’interazione con l’anatomia del corpo. È qui che interviene nuovamente l’Ingegnere Oliva che propone di utilizzare l’Anatomy Lab presente nel campus di Humanitas University. L’ospedale mette a disposizione tutto quello che serve senza nessun tipo di remore, permettendo così di effettuare un workflow di training avanzato caso specifico. “Questo”, racconta Paolo Oliva, “è fare innovazione ed è quello che è servito ai cardiochirurghi, capeggiati dalla Dottoressa Torracca, per valutare i tempi, le azioni e il coordinamento tra il team, che si approcciava ad un intervento mai fatto prima nel nostro centro. Le tre anime di Humanitas, clinica, ricerca e università unite possono fare la differenza nella cura dei nostri pazienti e dare al nostro personale medico la serenità di poter affrontare casi rari e difficili come quello di Giulia”.

La ricerca al servizio delle persone

Ascoltando l’Ingegnere Oliva raccontare insieme a Nada Mansour del loro lavoro, è evidente l’orgoglio e la passione che c’è dentro il 3D Lab e quanto il caso di Giulia abbia dato un boost, una spinta emotiva per continuare al meglio, generando una nuova consapevolezza nell’identificare le potenzialità e comprendere cosa si potrà mettere in campo per la cura dei pazienti. Ma non solo: per allenare gli studenti dell’università; per dare ai chirurghi dei Phantom per esercitarsi con la possibilità di una valutazione tattile e di avere la patologia nel modello, che è una rarità; per dare ai ricercatori delle culture cellulari 3D o dei costrutti 3D per spingere ancora di più il mondo della ricerca preclinica o della ricerca traslazionale e infine per far si che, vedendo tutto ciò, sempre più aziende investano nella ricerca.

Per guardare il video completo sulla storia di Giulia clicca qui.

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A cura di cmaddaleni
Tumori: a ogni paziente il suo “gemello digitale”
Data articolo:Tue, 08 Apr 2025 12:48:35 +0000

Rivoluzionare il trattamento dei tumori rari e, in prospettiva, di tutti i tumori attraverso l’implementazione di gemelli digitali e Intelligenza Artificiale generativa: è questo l’obiettivo del progetto Digital Twin di Humanitas, che si è appena aggiudicato un finanziamento di 3 milioni di euro dal programma FISA del Ministero dell’Università e della Ricerca.

Digital Twin è frutto della partnership tra IRCCS Istituto Clinico Humanitas – primo policlinico in Italia a essersi dotato di un AI Center – e Humanitas University. «Il progetto rappresenta un’opportunità unica per migliorare la comprensione e il trattamento dei tumori rari, patologie di complessa gestione clinica», afferma il prof. Matteo Della Porta, responsabile Leucemie dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e docente di Humanitas University, che guiderà la ricerca.

I tumori rari, definiti come quelli che colpiscono meno di 6 persone su 100.000 all’anno, rappresentano circa il 25% di tutte le neoplasie. «La scarsità di dati clinici e la difficoltà di condurre studi su larga scala rendono queste patologie particolarmente complesse da trattare in modo standardizzato – prosegue Della Porta –. La Medicina Personalizzata, basata sull’analisi dei dati specifici del paziente, offre una strategia promettente per migliorare la diagnosi e la cura dei tumori rari». Per questo motivo, le patologie oncologiche rare – come Leucemie e Mielodisplasie – sono il primo target del progetto Digital Twin che però punta a sviluppare modelli predittivi di Medicina Personalizzata applicabili in modo trasversale anche ad altre patologie umane complesse, a partire dai tumori solidi.

Gemelli digitali: rappresentazioni virtuali per la Medicina di Precisione

I gemelli digitali costituiscono rappresentazioni virtuali dei pazienti, generate dall’analisi di dati multimodali: dati clinici, genomici, immagini mediche, trattamenti e risultati. Questi modelli consentono di simulare l’evoluzione della malattia e di prevedere la risposta ai trattamenti in ogni paziente, personalizzando le cure in base alle caratteristiche individuali. L’accuratezza delle simulazioni dipende non solo dagli algoritmi utilizzati, ma innanzitutto dalla qualità e dalla completezza dei dati inclusi nel modello.

Il progetto Digital Twin di Humanitas mira a sviluppare modelli di gemelli digitali per supportare le decisioni cliniche e accelerare la Ricerca tramite l’uso di algoritmi di Intelligenza Artificiale generativa. Questi modelli consentono ai medici di simulare scenari terapeutici e di selezionare il trattamento più appropriato. Il progetto prevede anche lo sviluppo di un “gemello digitale umano interconnesso“, che integra dati da diverse fonti per monitorare l’evoluzione della malattia nel tempo.

«L’innovazione tecnologica è fondamentale per offrire ai pazienti oncologici le migliori opzioni terapeutiche possibili – aggiunge il prof. Armando Santoro, Direttore del Cancer Center di Humanitas -. Il progetto Digital Twin rappresenta un passo avanti significativo in questa direzione. Siamo di fronte a una rivoluzione che potrà portare benefici ai tanti malati oncologici. Non solo, ma l’utilizzo dei gemelli digitali può accelerare la Ricerca clinica, riducendo i tempi di sviluppo di nuovi farmaci».

Un approccio reso possibile solo dall’integrazione tra competenze diverse: «L’ Intelligenza Artificiale non è solo uno strumento, ma un partner che ci permette di esplorare nuove frontiere nella Medicina Personalizzata – afferma Victor Savevski, Chief Innovation Officer and Direttore di Humanitas AI Center –. Con implicazioni importanti: evitare ai pazienti trattamenti inefficaci e ridurre i costi sanitari a lungo termine».

Un percorso iniziato anni fa per migliorare la cura delle leucemie

Il progetto si inserisce nel solco di una competenza maturata da Humanitas e dal suo AI Center.
Dal 2021, il prof. Della Porta coordina a livello clinico il progetto GenoMed4All, finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito di Horizon 2020, che mira a rivoluzionare la diagnosi e il trattamento delle malattie ematologiche attraverso l’Intelligenza Artificiale. Il progetto coinvolge 23 partner europei e ha già portato significativi risultati: è stato creato un modello che include variabili come sesso ed età per calcolare il rischio di gravi malattie del sangue; è stato validato un algoritmo che permette di prevedere l’evoluzione della leucemia, aprendo la strada a trattamenti più mirati. Infine, è stato sviluppato un sistema per identificare il momento ottimale per il trapianto di midollo, migliorando le possibilità di successo per i pazienti.

Humanitas partecipa inoltre ai progetti SYNTHEMA, SYNTHIA e REALISE-D nell’ambito del programma Horizon Europe e Innovative Health Initiative (IHI), che hanno l’obiettivo a sviluppare nuove tecnologie per il miglioramento della medicina personalizzata in Ematologia per accelerare lo sviluppo di clinical trials.

Intelligenza Artificiale nei percorsi di formazione dei medici di domani

L’esperienza transdisciplinare di questi progetti – a cui prendono parte medici, ingegneri e data scientist – riflette la necessità di una evoluzione nella formazione universitaria. Con questa filosofia, da sei anni Humanitas University, in collaborazione con il Politecnico di Milano ha istituito MEDTEC School: un Corso di Laurea in Medicina e Ingegneria Biomedica, in lingua inglese. Questo programma congiunto prepara professionisti in grado di applicare tecnologie avanzate nel campo medico.

Parallelamente, la partnership con l’Università Bocconi ha dato vita al Corso di Laurea Magistralein Data Analytics and Artificial Intelligence in Health Sciences (DAIHS), un corso di due anni focalizzato sull’implementazione di metodi di AI e Machine Learning nel settore sanitario.
Il programma mira a formare figure professionali con una solida comprensione del settore sanitario e le competenze necessarie per gestire e analizzare dati complessi, promuovendo l’innovazione e l’efficienza nel campo delle Scienze della vita.

L’appuntamento per parlarne: domenica 13 aprile al Festival delle Scienze di Roma

Dall’8 al 13 aprile, Humanitas sarà protagonista del Festival delle Scienze di Roma, che si terrà all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone e avrà come tema centrale “Corpi”. In particolare, domenica 13 aprile alle 17.30, Matteo Della Porta dialogherà con Leonardo De Mattos, Direttore del laboratorio di robotica biomedica dell’IIT, e Roberto Verzicco, Professore di fluidodinamica, GSSI e Università di Roma “Tor Vergata”, sul tema “Corpi virtuali. I pazienti avatar e il futuro della ricerca clinica”. Presenti alla manifestazione anche il prof. Alberto Mantovani, Presidente di Fondazione Humanitas per la Ricerca, e la prof.ssa Domenica Lorusso, responsabile del Centro di Ginecologia Oncologica di Humanitas San Pio X e docente Humanitas University.

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A cura di cmaddaleni
Primavera: raffreddore o allergia
Data articolo:Mon, 31 Mar 2025 08:32:41 +0000

La primavera si caratterizza per fioriture, sbalzi climatici, escursioni termiche nel corso della giornata, allergia e raffreddori. Rinite allergica e rinosinusite possono manifestarsi in modo simile, ma possono sottendere cause differenti e diverso deve essere il percorso terapeutico. Attenzione a non trascurare i sintomi e richiedere il consulto dello specialista otorinolaringoiatra

Approfondiamo l’argomento con il dottor Luca Malvezzi, specialista in Otorinolaringoiatria e Chirurgia cervico facciale presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Come distinguere raffreddore e allergia

La rinite allergica e il raffreddore, ovvero rinosinusite virale e rinosinusite batterica, possono inizialmente manifestarsi con lo stesso quadro clinico. Attenzione però: intensità e soprattutto durata dei sintomi caratterizzano la differenza fra le due patologie, oltre che naturalmente il profilo infiammatorio del paziente. 

I sintomi sono: 

  • ostruzione nasale
  • naso che cola (rinorrea)
  • riduzione dell’olfatto a causa della congestione della mucosa del naso e dei seni paranasali
  • ovattamento alle orecchie
  • sensazione di testa pesante.

Il raffreddore con secrezioni sierose, andamento stagionale e coerente con le esposizioni allergiche caratterizza l’allergia. Sintomi intensi ma fugaci, con risoluzione nell’arco di massimo 7-10 giorni sono da riferirsi a un raffreddore di natura virale. L’impatto dei sintomi sulle alte e basse vie aeree (asma) può però trasformare i sintomi in cronici – quando presenti oltre le 12 settimane – e avere un impatto socio-sanitario negativo oltre che un impatto sulla qualità di vita percepita dal paziente. 

La biodiversità del nostro paese regala variegate fioriture. Queste ultime, presenti lungo tutto l’anno con l’eccezione di novembre, hanno un impatto negativo sugli allergici. L’aumento delle secrezioni mucose insieme alla complessità anatomica della via di drenaggio del muco e del massiccio facciale tutto, possono favorire lo sviluppo di un quadro clinico patologico. La mucosa di naso e seni paranasali, sensibile e iper-reattiva anche a stimoli minimi, ad esempio il passaggio da una stanza all’altra, gonfiandosi blocca il deflusso del muco dai seni paranasali al naso e quindi alla faringe. Si sviluppa così un quadro sintomatologico, che può anche essere responsabile di dolori facciali acuti alla rapida variazione pressoria: l’atterraggio in aereo. 

Il ruolo dell’infiammazione, nei sintomi che ricorrono, non deve mai essere sottovalutato in quanto può nascondere una problematica più ampia. 

È importante dunque distinguere tra problemi allergici e non allergici, riconoscere il possibile legame con le basse vie aeree (come l’asma), identificare il tipo di infiammazione e la possibile evoluzione verso forme con sintomi difficilmente controllabili. Questo richiede un percorso diagnostico-terapeutico multidisciplinare, in linea con i moderni concetti di medicina personalizzata e rispettoso degli standard di cura.

Raffreddore: i rimedi

In caso di congestione causata da raffreddore virale l’attesa è il miglior alleato. I sintomi passeranno in pochi giorni in modo spontaneo. Tuttavia, se gli impegni della giornata sono pressanti, un aiuto può arrivare dagli spray decongestionanti vasocostrittori, solo per pochi giorni però. 

I sintomi allergici meritano un trattamento più ampio e una gestione multidisciplinare. Lo spray cortisonico locale è efficace e può essere utilizzato in sicurezza per tutto il periodo dell’esposizione ad allergeni.

In entrambe le situazioni, ancor meglio nella quotidianità, il lavaggio nasale con soluzione fisiologica nella sua semplicità è efficace per diluire il muco in eccesso favorendone la spontanea rimozione da parte delle cellule ciliate della mucosa nasale.

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A cura di cmaddaleni
Perimenopausa: di cosa si tratta e quanto dura?
Data articolo:Mon, 31 Mar 2025 08:29:07 +0000

La perimenopausa è un passaggio naturale e rappresenta l’intero periodo di transizione verso la menopausa, caratterizzato da una crescente irregolarità dei cicli mestruali. Durante questa fase, le ovaie riducono progressivamente la produzione di ormoni sessuali – estrogeni, progesterone e androgeni – portando a un’alternanza o assenza dei cicli mestruali. 

I sintomi, la durata e l’età di inizio della perimenopausa variano da persona a persona. In alcuni casi può iniziare già attorno ai 40 anni, mentre in altri può manifestarsi più tardi; questo periodo può durare solo pochi mesi, così come estendersi dai quattro ai dieci anni. La perimenopausa si conclude con la menopausa, a distanza di 1 anno dall’ultimo ciclo mestruale. 

Quali sono i sintomi della perimenopausa? Ne parliamo con la professoressa Nicoletta Di Simone, responsabile del Centro Multidisciplinare per la menopausa dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.

Quali sono i sintomi della perimenopausa?

Il primo segnale di perimenopausa è l’irregolarità del ciclo mestruale, che può cambiare di frequenza, durata e intensità. A queste variazioni si aggiungono sintomi simili a quelli della menopausa. 

I sintomi della perimenopausa possono essere diversi, ma molte donne avvertono almeno uno dei seguenti:

Quali sono le cause della perimenopausa?

Le irregolarità del ciclo mestruale sono frequenti e fisiologiche in perimenopausa, ma è importante sapere che anche altre condizioni possono causare anomalie nel flusso mestruale. Per questo, in caso di modifiche nel ciclo, bisogna rivolgersi a un ginecologo per escludere cause diverse dalla perimenopausa. Oltre agli squilibri ormonali tipici di questa fase, infatti, possono provocare sanguinamenti anomali e alterazioni del ciclo condizioni come:

  • infezioni
  • fibromi
  • polipi endometriali
  • aborti spontanei
  • terapie anticoagulanti
  • patologie ginecologiche neoplastiche.

Il Centro multidisciplinare per la Menopausa di Humanitas

Il Centro offre alle donne tra i 35 e i 65 anni un percorso dedicato, sia in caso di perimenopausa, sia in caso di menopausa fisiologica o iatrogena, menopausa prematura e insufficienza ovarica prematura.

In presenza di alterazioni del ciclo mestruale o sintomi specifici sarà possibile accedere a un percorso diagnostico con il supporto di esami di laboratorio e strumentali, come la Densitometria Ossea a Raggi X (DEXA), la mammografia ed ecografia mammaria, e di un consulto clinico con specialisti in Ginecologia, Cardiologia, Endocrinologia, Reumatologia e Radiologia.

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A cura di cmaddaleni
Linfonodi del collo: a cosa serve l’ecografia?
Data articolo:Mon, 31 Mar 2025 08:26:50 +0000

I linfonodi sono piccoli organi composti anche da cellule del sistema immunitario, che svolgono la funzione di primo filtro di difesa, intercettando sostanze tossiche, agenti infettivi e cellule neoplastiche ma anche infiammazioni, modificazioni ormonali o traumi. Quando vengono esposti ad agenti estranei o a processi infiammatori, i linfonodi reagiscono ingrossandosi oppure modificando la loro morfologia e struttura.

L’ecografia dei linfonodi è comunemente impiegata in ambito clinico quando compaiono rigonfiamenti nodulari superficiali e profondi. Nel corpo umano sono presenti numerosi linfonodi, di cui molti si trovano in posizione superficiale o relativamente superficiale, per esempio: nel collo, nelle ascelle e nell’inguine. Queste regioni possono essere accuratamente valutate tramite ecografia.

Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Manuela De Crescenzo, ecografista dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Ingrossamento dei linfonodi: i sintomi

Normalmente i linfonodi non sono palpabili. In alcuni casi però, possono ingrossarsi e diventare visibili anche alla persona. Questo ingrossamento può essere causato da varie condizioni patologiche e non patologiche, per esempio faringiti, infezioni in generale, problemi dentali ma anche variazioni del ciclo ormonale oppure tumori.

Durante un’infiammazione o infezione, l’ingrossamento dei linfonodi può essere accompagnato da dolore locale e, talvolta, da rossore cutaneo. Tuttavia, nelle prime fasi dell’interessamento, i linfonodi possono rimanere di dimensioni ridotte, anche se possono mostrare modifiche morfologiche durante l’esame ecografico.

L’ecografia permette di esaminare le dimensioni e la forma dei linfonodi e di individuare eventuali cambiamenti nella loro struttura e nel flusso sanguigno. Questo permette di differenziare con una buona probabilità i linfonodi infiammatori che non richiedono ulteriori controlli da quelli di aspetto dubbio.

Quando fare l’ecografia dei linfonodi?

L’ecografia dei linfonodi superficiali viene eseguita principalmente per due ragioni:

  • Nei casi in cui si verifichi un ingrossamento nodulare a livello del collo, delle ascelle o dell’inguine o in qualsiasi regione del corpo.
  • Nei casi di patologie oncologiche, sia per stadiazione che durante follow up, secondo prescrizione medica.

Come si svolge in pratica l’ecografia dei linfonodi?

Come tutti gli esami ecografici, l’indagine non è invasiva: viene applicato un gel sulla pelle nuda della zona da analizzare e vi viene appoggiata la sonda ecografica. Il gel ha la funzione di facilitare la trasmissione degli ultrasuoni, permettendo così di ottenere un’immagine ottimale.

Nel corso dell’esame vengono valutate diverse caratteristiche morfologiche che insieme all’anamnesi permettono, al medico ecografista, di fare una diagnosi oppure di decidere di richiedere un approfondimento con altre metodiche.

Ecografia linfonodi/collo

L’ecografia dei linfonodi permette di esaminare le dimensioni e la forma dei linfonodi del collo e di individuare eventuali cambiamenti nella loro struttura e nel flusso sanguigno.

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A cura di cmaddaleni
Dermatite atopica: anche in Humanitas visite gratuite per la campagna nazionale
Data articolo:Thu, 27 Mar 2025 12:27:43 +0000

La dermatite atopica (nota anche come eczema atopico) è una patologia recidivante o cronica a carico della pelle. Si manifesta con sintomi dolorosi e fastidiosi, tra cui prurito, eritemi, vescicole e altre manifestazioni che possono interessare diverse aree del corpo, come mani, piedi, gomiti, ginocchia, polsi, caviglie, torace, collo e, soprattutto nei bambini, il viso.

La dermatite atopica può compromettere significativamente la qualità della vita, poiché influisce sulla concentrazione, in ambito lavorativo e scolastico, e disturba il sonno notturno. Inoltre, ha un impatto anche a livello psicologico: quando colpisce aree visibili del corpo, infatti, può influire negativamente sull’autostima.

Ad aprile 2025 torna la Campagna Nazionale di sensibilizzazione sulla dermatite atopica “Dalla parte della tua pelle”, rivolta ad adulti e adolescenti dai 12 ai 17 anni, promossa dalla Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST). Anche l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano partecipa a questa iniziativa con un open day di visite gratuite lunedì 7 aprile 2025, con il contributo della dottoressa Alessandra Narcisi, specialista in Dermatologia.

Ne parliamo con il professor Marco Ardigò, Capo Sezione dell’Unità di Dermatologia Oncologica presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, Membro del Consiglio Direttivo SIDeMaST e Responsabile per le Campagne di sensibilizzazione.

Sintomi e cause della dermatite atopica

La dermatite atopica è riconoscibile da sintomi come:

  • chiazze rosse con vescicole, croste o abrasioni
  • prurito che peggiora nelle ore notturne
  • secchezza cutanea.

Si tratta di una patologia con cause multifattoriali, che insorge per una combinazione di fattori immunologici, ambientali e genetici. In particolare, la barriera cutanea delle persone con dermatite atopica, risulta alterata. In questo modo gli strati inferiori della pelle entrano in contatto con sostanze che in condizioni normali non oltrepassano la barriera. La dermatite atopica si manifesta in particolare in momenti di stress psicofisico o con il cambio di stagione, mentre sono più rare le reazioni ad allergeni alimentari.

Come curare la dermatite atopica

La dermatite atopica viene curata con farmaci cortisonici topici oppure immunomodulatori a uso locale. Utili, in particolare per contenere il prurito, gli antistaminici orali. Quando la dermatite atopica è particolarmente estesa per alcuni pazienti è possibile ricorrere alla fototerapia, mentre in presenza di una forma già grave si ricorre a steroidi sistemici o altri farmaci immunosoppressori oppure ad anticorpi monoclonali.

In generale, ma soprattutto se si ha familiarità con la dermatite atopica, è possibile prevenirne l’insorgenza seguendo alcune accortezze. Per esempio evitare lavaggi e bagni eccessivamente lunghi e asciugare la pelle con delicatezza e tamponando. Utile anche usare detergenti delicati e creme idratanti e lenitive, usare filtri solari quando ci si espone alla luce solare ed evitare indumenti in materiale sintetico.

“Dalla parte della tua pelle”: la Campagna SIDeMaST

Alla sua quinta edizione, “Dalla parte della tua pelle”, la Campagna nazionale di sensibilizzazione sulla Dermatite Atopica promossa da SIDeMaST, si riconferma un momento fondamentale di informazione e confronto con gli specialisti dermatologi

L’edizione 2025 della Campagna prevede la possibilità di eseguire le visite di controllo gratuite anche agli adolescenti, a partire dai 12 anni, e l’esecuzione in autonomia del pre-screening al seguente link.

Il pre-screening è un questionario di facile compilazione, utile a valutare la presenza di segni riconducibili alla dermatite atopica. Il sistema, tramite un punteggio assegnato in automatico in base alle risposte, in presenza di segni associati alla dermatite atopica assegnerà all’utente un codice univoco per la prenotazione.

Le visite presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano si svolgeranno lunedì 7 aprile 2025 dalle 14.00 alle 16.00. Anche per accedere alla visita gratuita di Humanitas è richiesta la compilazione del test di pre-screening, che verificherà l’idoneità al consulto dermatologico. Il test di pre-screening è quindi obbligatorio per prenotare il consulto dermatologico gratuito. Una volta eseguito il test e ricevuto il codice univoco si può procedere con la prenotazione della visita chiamando il call center.

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A cura di Valeria Leone
Scoperta sul ruolo del metabolismo del colesterolo nella progressione tumorale
Data articolo:Thu, 27 Mar 2025 08:36:52 +0000

Un gruppo congiunto di ricercatori di Humanitas e dell’Università del Piemonte Orientale ha identificato un nuovo meccanismo che collega le alterazioni del metabolismo del colesterolo alla progressione del cancro e alla risposta immunitaria, con potenziali implicazioni per la prevenzione e le terapie antitumorali.

Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Cancer Discovery, mostra in particolare come diversi tumori alterino il metabolismo epatico del colesterolo, aumentando il suo livello nel sangue, e come questo aumento del colesterolo si traduca a sua volta in una soppressione della risposta immunitaria, che favorisce poi la crescita e la diffusione del cancro.

Lo studio è stato guidato da Antonio Sica, responsabile del laboratorio di Immunometabolismo e Tumori presso IRCCS Istituto Clinico Humanitas e professore ordinario presso l’Università del Piemonte Orientale.

Il gruppo di ricercatori ha inoltre identificato la proteina – il fattore di trascrizione ROR? – che collega i due fenomeni: ROR? funziona come un sensore in grado di rilevare i livelli elevati di colesterolo e stimolare di conseguenza la produzione di cellule immunosoppressive, che ostacolano la risposta antitumorale dell’organismo.

“Un aspetto particolarmente rilevante della scoperta è che i farmaci usati abitualmente per il trattamento dell’ipercolesterolemia sono in grado di migliorare l’efficacia dell’immunoterapia oncologica, almeno nei modelli sperimentali del tumore,” spiega Antonio Sica. “Questo risultato apre nuove prospettive per l’ottimizzazione delle terapie contro il cancro, in particolare per quei pazienti che sviluppano resistenza ai trattamenti immunoterapici.”

Questi risultati rafforzano l’idea che il metabolismo lipidico e il sistema immunitario siano profondamente interconnessi. Comprendere questi legami ci permetterà di identificare nuovi bersagli terapeutici e strategie più efficaci per potenziare la risposta immunitaria contro il cancro, ma apre anche nuove prospettive per la prevenzione. L’alterazione del metabolismo del colesterolo potrebbe infatti rappresentare un fattore di rischio da monitorare con maggiore attenzione: strategie per il controllo dei livelli lipidici potrebbero contribuire non solo alla salute cardiovascolare, ma anche alla riduzione del rischio di sviluppare tumori. L’identificazione di biomarcatori legati al colesterolo potrebbe quindi favorire diagnosi più precoci e interventi preventivi mirati.

“Scoprire che un farmaco già disponibile per l’ipercolesterolemia possa migliorare l’efficacia dell’immunoterapia oncologica è un risultato rilevante, ad alto potenziale traslazionale,” conclude Sica. “Questa ricerca apre nuove opportunità per integrare strategie metaboliche e immunologiche nella lotta ai tumori, offrendo nuove speranze ai pazienti e prospettive innovative per la medicina di precisione.”

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A cura di cmaddaleni
Endometriosi: che cos’è e quali sono i sintomi
Data articolo:Wed, 26 Mar 2025 10:55:10 +0000

L’endometriosi è un’anomalia delle cellule endometriali (le cellule normalmente presenti nella cavità uterina) non ancora del tutto nota, per via della complessità della patologia e delle difficoltà nella diagnosi. 

L’endometriosi presenta inoltre complessità e percorsi differenziati dal punto di vista terapeutico, dato che i differenti stadi della malattia e la diversa tipologia delle pazienti che ne sono interessate, richiedono approcci e trattamenti diversificati. 

Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Elena Zannoni, Responsabile di chirurgia conservativa ed endoscopica e specialista di Humanitas Fertility Center.

Endometriosi: cos’è

L’endometriosi è un’infiammazione cronica benigna degli organi genitali femminili e del peritoneo pelvico, causata dalla presenza anomala in questi organi di cellule endometriali che, in condizioni normali, si trovano solo all’interno dell’utero. Nell’endometriosi, quindi, il tessuto endometriale va a posizionarsi in sedi diverse da quella fisiologica. 

Le cause dell’endometriosi non sono ancora chiare, sicuramente vengono considerati fattori immunitari, genetici e/o ormonali. 

Fattori di rischio riconosciuti sono: il menarca (età della prima mestruazione) precoce e la nulliparità

È una patologia molto frequente a livello globale e i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riferiscono che possa interessare il 10% circa della popolazione femminile in età fertile. Colpisce infatti prevalentemente tra i 25 e i 35 anni, anche se gli studi più recenti rivelano che la patologia possa essere presente già alcuni anni prima della sua evidenza clinica. In ogni caso, la patologia è praticamente assente nell’età pre-puberale e post-menopausale. 

Le linee guida Internazionali raccomandano che la diagnosi di endometriosi venga fatta precocemente, per evitare accertamenti tardivi, che possano peggiorare l’andamento della malattia e la sintomatologia clinica. 

La diagnosi è spesso accidentale e avviene durante controlli ginecologici di routine o controlli specialistici eseguiti per altre patologie. 

La diagnosi di endometriosi deve essere fatta abbinando un’accurata anamnesi, l’esame obiettivo ginecologico e l’ecografia transvaginale

In alcuni casi, lo specialista ginecologo può avviare la paziente alla risonanza magnetica o a una laparoscopia diagnostica. 

Endometriosi: i sintomi

L’endometriosi è una patologia spesso asintomatica. Quando sintomatica, si manifesta generalmente con dolore, che è il primo campanello d’allarme. In particolare:

In presenza di un’intensa sintomatologia dolorosa nei giorni del ciclo (sintomi che, a volte, non si risolvono neppure con antidolorifici e/o antispastici) o di dolore durante i rapporti sessuali, è opportuno fare prontamente riferimento allo specialista.

I 4 stadi della patologia

La gravità e l’estensione della patologia endometriosica è stata classificata in quattro distinte fasi dall’American Society for Reproductive Medicine (ASRM), l’organizzazione dedicata al progresso della scienza e della pratica della medicina riproduttiva.

La classificazione degli stadi si basa sul livello di estensione e gravità dei danni, che condiziona le possibilità di trattamento:

Stadio 1 – Endometriosi minima: l’estensione della patologia è minima e si caratterizza per la presenza di pochi millimetri di tessuto endometriale al di fuori dell’utero, localizzati in posizione superficiale nei tessuti. 

Stadio 2 – Endometriosi lieve: è caratterizzata da un maggior numero di lesioni, che risultano anche più profonde.

Stadio 3 – Endometriosi moderata: l’estensione è maggiore. Sono presenti cisti ovariche (endometriomi) mono o bilaterali e tessuto aderenziale e/o cicatriziale tra gli organi pelvici. 

Stadio 4 – Endometriosi grave: impianti endometriosici molto profondi e presenza di voluminose cisti su una o entrambe le ovaie. Inoltre esiti cicatriziali e aderenziali importanti. 

Endometriosi e alimentazione: cosa mangiare

I sintomi dell’endometriosi, come il dolore e l’infiammazione, possono essere ridotti mantenendo un’alimentazione ricca di cibi anti infiammatori e disintossicanti. Per questo motivo la Fondazione Italiana Endometriosi ha stilato alcune linee guida in merito alla dieta per le persone con endometriosi.

È fondamentale aumentare l’apporto di alimenti ricchi di fibre: cereali integrali, legumi, verdura, frutta fresca (in particolare mele, pere e prugne). Le fibre, infatti, aiutano le funzioni digestive e intestinali e contribuiscono ad abbassare il livello ematico degli estrogeni, aiutando, quindi, a tenere a riposo gli organi e i tessuti estrogeno-dipendenti, tra i quali figura appunto l’endometrio.

Sono poi importanti i cibi ricchi di acidi grassi Omega 3, presenti in particolar modo nel pescato, dal pesce azzurro, al salmone, al tonno fresco, nonché in olio d’oliva, frutta secca e semi, come quelli di girasole, zucca o lino. Gli Omega 3, infatti, contribuiscono ad aumentare la produzione di prostaglandina PGE1, molecola in grado di ridurre i processi infiammatori. 

A integrazione della dieta, lo specialista può aggiungere, se lo ritiene opportuno, l’assunzione di specifici integratori, per garantire all’organismo un adeguato apporto di importanti componenti come vitamina D, Omega 6, metilfolato di calcio, partenio, quercetina, curcuma e nicotinamide.

Endometriosi: come si cura

Per curare l’endometriosi si possono adottare diversi trattamenti in base allo stadio e alla sintomatologia della malattia, andando dal semplice controllo clinico, all’utilizzo di terapie farmacologiche, sino al trattamento chirurgico. 

Se la patologia è ancora in fase iniziale e la paziente è asintomatica e/o presenta piccoli endometriomi a carico delle ovaie e/o impianti peritoneali non rilevanti, può essere suggerita una condotta di controllo e attesa. 

In caso, invece, di una sintomatologia manifesta, con dolore durante il ciclo mestruale, è possibile sottoporsi a una terapia farmacologica, utile anche a limitare il rischio di recidiva in pazienti che hanno già sostenuto la chirurgia. Si tratta di terapie che tengono sotto controllo i sintomi, garantendo un miglioramento della qualità della vita. Abitualmente vengono utilizzati farmaci a base di progesterone o le associazioni estro progestiniche (pillola anticoncezionale). Questi farmaci possono essere utilizzati per un tempo molto lungo ed eliminano la sintomatologia dolorosa. 

Terapie mediche più costose e di utilizzo più limitato vengono prescritte al bisogno dallo specialista.

Endometriosi e chirurgia: quando serve?

Il ricorso alla chirurgia deve essere valutato sempre molto attentamente e le indicazioni oggi sono quelle di sottoporre a intervento chirurgico solo quei casi in cui non ci sono alternative. 

La chirurgia infatti (a maggior ragione quando non eseguita in modo corretto) può portare alla diminuzione del potenziale riproduttivo della donna per una riduzione della sua riserva ovarica. Infatti, durante l’asportazione del tessuto endometriosico, spesso si danneggiano anche i tessuti sani, diminuendo per esempio, il numero degli ovociti presenti nell’ovaio operato o creando alterazioni nella vascolarizzazione d’organo con conseguente diminuzione della sua funzione. 

La tecnica chirurgica considerata il gold standard per l’endometriosi è la laparoscopia, che deve essere sempre però eseguita da chirurghi esperti, che abbiano a cuore la salute riproduttiva della donna e che utilizzino modalità chirurgiche corrette (per esempio l’asportazione di una cisti ovarica mediante l’identificazione del suo piano di clivaggio e il successivo stripping, ossia l’asportazione della sola capsula della cisti – nonché l’utilizzazione di tecniche di controllo dell’emostasi, ossia dei sanguinamenti, non troppo pesanti). 

In conclusione, l’endometriosi è una patologia tipica dell’età fertile, la cui presenza deve sempre essere sospettata in presenza di una determinata sintomatologia. La diagnosi deve essere il più possibile precoce, per evitare problematiche future, che possono diminuire la qualità della vita della donna e le sue capacità riproduttive. 

La gestione della patologia deve sempre essere affidata allo specialista, che deciderà l’iter diagnostico e terapeutico in modo personalizzato. 

Ultimo aggiornamento: Marzo 2025
Data online: Gennaio 2021

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A cura di cmaddaleni
Alopecia areata: i sintomi e la cura
Data articolo:Wed, 26 Mar 2025 10:20:08 +0000

L’alopecia areata è un disturbo relativamente comune che può colpire sia maschi che femmine, con una maggiore incidenza nell’infanzia e nell’adolescenza. Si tratta di una patologia autoimmune, in cui il sistema immunitario attacca i follicoli piliferi, causando la perdita di capelli a chiazze. Si tratta di un’alopecia non-cicatriziale che presenta quindi un potenziale di risoluzione totale. In alcuni casi, l’alopecia areata è associata ad altre malattie autoimmuni, come le disfunzioni tiroidee, la dermatite atopica e la vitiligine. Inoltre, la familiarità gioca un ruolo importante, con una predisposizione genetica osservata in diversi pazienti.

Ne parliamo con il dottor Mario Valenti, specialista in Dermatologia presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Quali sono i sintomi dell’alopecia areata?

L’alopecia areata si manifesta con la caduta improvvisa di capelli a chiazze tondeggianti, spesso con capelli più corti e spezzati ai margini delle zone colpite.

A seconda della gravità e dell’estensione, si distinguono diverse forme:

  • Alopecia areata totale: perdita completa dei capelli sul cuoio capelluto.
  • Alopecia ofiasica: interessa i lati e la parte posteriore della testa.
  • Alopecia ofiasica inversa: colpisce prevalentemente la parte superiore della testa.
  • Alopecia universale (rara): perdita totale dei peli su tutto il corpo.

Oltre alla perdita di capelli, la malattia può coinvolgere anche la barba e le unghie, causando fragilità, irregolarità e alterazioni della superficie ungueale.

Diagnosi dell’alopecia areata: la visita tricologica

Per diagnosticare l’alopecia areata è fondamentale una visita tricologica specialistica. Il dermatologo raccoglie innanzitutto l’anamnesi del paziente, valutando la storia clinica, la familiarità e gli eventuali sintomi associati.

Successivamente, viene eseguito un esame clinico e tricoscopico del cuoio capelluto. La tricoscopia, una tecnica non invasiva e indolore, consente di analizzare i follicoli piliferi in dettaglio grazie a un dermatoscopio, permettendo di valutare l’attività della malattia e monitorare la risposta ai trattamenti nel tempo.

Possono inoltre essere necessari ulteriori test diagnostici, tra cui:

  • Pull test: verifica la facilità di distacco dei capelli.
  • Esami ematochimici: valutano la funzione tiroidea, il profilo immunitario e possibili carenze nutrizionali.

Come si cura l’alopecia areata?

Il trattamento varia in base all’età, all’estensione della patologia e all’attività della malattia. Una diagnosi precoce è cruciale: intervenire tempestivamente aumenta l’efficacia della terapia e riduce il rischio di progressione.

Le opzioni terapeutiche includono:

  • Inibitori di JAK (Jak inhibitors): farmaci innovativi che modulano l’infiammazione e stimolano la ricrescita di capelli, sopracciglia e ciglia in una percentuale significativa di pazienti.
  • Corticosteroidi: somministrati per via locale (creme o lozioni), orale o tramite microiniezioni sottocutanee nelle zone colpite.
  • Altri farmaci topici: come il minoxidil, utilizzato per stimolare la crescita dei capelli.

Per chi desidera migliorare l’aspetto estetico durante il trattamento, esistono soluzioni di camouflage come parrucche, foulard e make-up specifico. L’alopecia areata ha un decorso imprevedibile: in alcuni casi si verifica una remissione spontanea, mentre in altri può essere necessario un trattamento a lungo termine. Indipendentemente dalla forma e dalla gravità, un approccio tempestivo e personalizzato può migliorare significativamente la qualità di vita.

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A cura di cmaddaleni
Tachicardia e bradicardia: differenze e sintomi
Data articolo:Wed, 26 Mar 2025 10:18:20 +0000

Il cuore è un organo che pompa l’ossigeno e le sostanze nutrienti contenute nel sangue in tutto il corpo, con una frequenza cardiaca che di solito oscilla tra 60 e 100 battiti al minuto. 

Variazioni nella frequenza e/o nel ritmo cardiaco possono essere espressione di aritmie cardiache; in alcuni casi, il battito può essere accelerato (tachicardia), mentre in altri può essere più lento (bradicardia). Si tratta di disturbi comuni, che non sempre rappresentano un pericolo immediato per il soggetto che li avverte, ma che dovrebbero essere indagati con un medico specialista per determinarne la causa e valutare eventuali trattamenti necessari. 

Ne parliamo con il dottor Massimo Tritto, responsabile di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Cosa sono le aritmie?

Il cuore è composto da due atri e due ventricoli, e funziona pompando il sangue attraverso il corpo grazie a impulsi elettrici generati periodicamente da cellule specifiche localizzate nell’atrio destro. Questi impulsi si propagano successivamente alle altre camere cardiache permettendo il corretto funzionamento del cuore. Un’alterazione della sede di origine, della frequenza di scarica o della trasmissione degli impulsi all’interno del cuore rappresenta un’aritmia cardiaca.

Le aritmie possono manifestarsi in diversi modi:

  • Tachicardia: il cuore batte troppo velocemente, con una frequenza cardiaca a riposo superiore a 100 battiti al minuto (BPM)
  • Bradicardia: il cuore batte troppo lentamente, con una frequenza cardiaca a riposo inferiore a 60 battiti al minuto (BPM)
  • Extrasistolia: il cuore batte in maniera irregolare a causa di uno o più impulsi in sequenza (extrasistoli) che originano prematuramente da una camera atriale o ventricolare.

Sebbene siano spesso innocue e benigne, le aritmie cardiache possono causare fastidi o preoccupazione in chi le avverte. In altri casi, invece, esse sono il segno (a volte il primo o l’unico) di una patologia cardiaca o extra cardiaca acquisita o congenita, tra cui: 

  • Bradicardie o bradiaritmie possono essere associate a varie condizioni, come cardiopatia ischemica, alterazioni legate all’invecchiamento delle cellule che generano impulsi elettrici, malattie congenite o acquisite che influenzano la formazione o la trasmissione degli impulsi elettrici, disturbi elettrolitici (ad esempio alterazioni di potassio, magnesio, calcio), interventi cardiochirurgici, malattie della tiroide e altro ancora.
  • Tachicardie o tachiaritmie possono derivare da diverse cause, tra cui ipertensione arteriosa, infarto miocardico acuto o pregresso, disfunzioni delle valvole cardiache, scompenso cardiaco, patologie primitive del muscolo cardiaco (cardiomiopatie), infezioni, malattie tumorali, alcune patologie polmonari, ansia.

È importante sottolineare che lo stile di vita gioca un ruolo significativo nello sviluppo di aritmie. Stress emotivo, abuso di alcol, fumo, caffeina e l’uso di sostanze eccitanti o stupefacenti possono contribuire al manifestarsi di aritmie cardiache. 

Bradicardia e tachicardia: quali sono i sintomi?

I sintomi avvertiti dipendono dal tipo di aritmia.

Possono essere sintomi di bradicardia:

I sintomi riconducibili a tachicardia sono:

  • Palpitazioni
  • Affanno
  • Debolezza
  • Capogiri
  • Svenimenti o perdita di coscienza (episodi sincopali).

 Sono invece possibili sintomi di extrasistolia:

  • Palpitazioni
  • Sensazione di “battito mancante”
  • Sensazione di “sfarfallio” o senso di vuoto nel petto.

Tachicardia e bradicardia: cosa fare

La maggior parte delle aritmie non richiede necessariamente un trattamento.

La terapia, quando necessaria, è principalmente focalizzata sulla correzione del disturbo elettrico responsabile dell’aritmia e deve pertanto essere personalizzata in base ai sintomi e al tipo di problema riscontrato. Parallelamente è importante trattare al meglio le malattie cardiache o non cardiache sottostanti.

In alcuni casi di bradiaritmia eccessiva può essere indicata una terapia specifica, come l’impianto di un pacemaker, che è un dispositivo artificiale impiantato sotto la pelle per supportare il ritmo cardiaco.

Nei casi di tachicardia e tachiaritmia, può essere consigliata una terapia farmacologica antiaritmica, una ablazione transcaterete – una procedura eseguita per via percutanea che ha l’obiettivo di “inattivare” il substrato responsabile dell’aritmia – o l’impianto di un defibrillatore cardiaco – un dispositivo in grado di erogare shock elettrici per interrompere aritmie a origine dai ventricoli potenzialmente letali.

Per confermare la presenza di aritmie e individuare eventuali episodi non rilevati durante una visita medica, può essere utile monitorare il battito cardiaco per un periodo continuativo di 24 ore o più tramite un dispositivo chiamato Holter o utilizzando monitor cardiaci esterni (ad esempio gli smartwatch) o impiantabili sottocute (loop recorder).

Visita specialistica cardiologica – aritmia

La visita cardiologica è utile ad escludere, diagnosticare o monitorare un disturbo di carattere cardiologico.

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Tappo di cerume: i sintomi e come toglierlo
Data articolo:Mon, 17 Mar 2025 10:05:43 +0000

Tappo di cerume: i sintomi e come toglierlo

Il cerume riveste un ruolo importante per la salute delle orecchie, infatti protegge il canale uditivo dall’ingresso di microorganismi, particelle e polvere, ma anche da irritazioni che possono insorgere con il contatto con l’acqua.

In alcuni casi, però, l’organismo può produrre una quantità di cerume superiore a quanto effettivamente necessario all’orecchio, con lo sviluppo di un tappo, che blocca il canale uditivo. Nella maggior parte dei casi questo tappo non è direttamente collegato all’aumento della produzione di cerume, quanto a tentativi errati di rimuoverlo in autonomia e che, invece di eliminare il cerume, lo spingono più in profondità.

Ne parliamo con la dottoressa Vanessa Rossi, otorinolaringoiatra presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Quali sono i sintomi del tappo di cerume

I principali sintomi che possono far sospettare la presenza di un tappo di cerume sono:

  • acufene
  • dolore all’orecchio
  • sensazione di pesantezza dell’orecchio
  • temporaneo e improvviso abbassamento dell’udito.

Se non rimosso, il tappo di cerume può contribuire allo sviluppo di un’infezione, se il paziente prova autonomamente a rimuoverlo con metodi errati con l’insorgenza di manifestazioni più severe, tra cui:

  • capogiro
  • dolore acuto e continuativo all’orecchio
  • odore sgradevole proveniente dall’orecchio
  • tosse.

Variazioni di colore del cerume, dal giallo chiaro al marrone scuro, non sono invece associate necessariamente alla presenza di un tappo.

Tappo di cerume: come intervenire?

In presenza di un tappo di cerume, è importante non cercare di rimuoverlo in autonomia: si rischia infatti di aumentare il disturbo e provocare lesioni o l’insorgenza di infezioni.

Quando si riscontra un aumento di cerume non bisogna mai utilizzare il cotton fioc né i “coni”, ma si può provare ad ammorbidire il tappo con apposite gocce acquistabili in farmacia. Anche sciacquare l’orecchio con acqua tiepida più volte di seguito, può essere utile.

In ogni caso, in presenza di un tappo di cerume o se si sospetta un’infezione all’orecchio è sempre opportuno fare riferimento al medico o allo specialista, che valuterà le condizioni dell’orecchio e in presenza di tappo provvederà a rimuoverlo con una specifica manovra di aspirazione.

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Cornea: a cosa servono l’OCT e la topografia?
Data articolo:Mon, 17 Mar 2025 10:03:45 +0000

La cornea è sostanzialmente la membrana trasparente che riveste la parte esterna dell’occhio. Tuttavia, alcune patologie possono lederne la funzionalità: per esaminare la cornea e ottenere diagnosi precise, la tomografia corneale può essere d’aiuto.

Ne parliamo con la dottoressa Costanza Tredici, oculista presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Che cos’è la cornea e a cosa serve?

La cornea svolge la funzione di lente principale dell’occhio. Il potere oculare totale è molto elevato e la cornea ne costituisce la componente più importante. Ciò spiega come mai le alterazioni corneali influenzino in maniera drammatica la qualità visiva.

Si può credere che, come lente, la cornea sia una perfetta sezione di una sfera ma in realtà la sua curvatura cambia nelle varie porzioni (è curva al centro e piatta in periferia); ha una forma che viene definita asferica e che permette di far convergere sul medesimo fuoco tutti i raggi luminosi.

La cornea è costituita da tre strati in successione, epitelio, stroma ed endotelio. L’epitelio, vera pelle dell’occhio, ha un ricambio rapido e può riformarsi completamente in 3-4 giorni grazie alle sue cellule riproduttive (staminali) poste ai bordi esterni della cornea. Lo stroma ha caratteristiche ottiche, devia la luce in base alla sua curvatura ed è trasparente. La trasparenza dello stroma è garantita dalla funzione dell’endotelio e dall’assenza di vasi. Infatti, la cornea trae l’ossigeno dall’aria e il nutrimento da un liquido, l’umore acqueo, che la bagna posteriormente. L’endotelio è un singolo strato di cellule perenni che riveste l’interno della cornea; mantiene la trasparenza corneale esercitando una funzione di pompa che rimuove l’acqua dallo stroma e lo mantiene in uno stato di parziale disidratazione che ne consente la trasparenza.

I sintomi di un problema alla cornea

Sono diverse le malattie che possono colpire la cornea, tra cui:

  • Degenerazioni legate all’età
  • Cheratocono
  • Scompenso corneale
  • Distrofie
  • Esiti di infezioni e traumi.

Queste condizioni possono causare deformazioni o opacizzazioni della cornea, portando a un calo della vista. I sintomi principali includono:

  • Alterazione della visione
  • Sensazione di corpo estraneo
  • Fotofobia (fastidio alla luce).

Topografia e tomografia per esaminare la cornea

Il topografo corneale sfrutta il fatto che la cornea abbia proprietà specchianti: proiettando cioè una serie di anelli concentrici e fotografando l’immagine ottenuta sulla cornea, costruisce una dettagliata mappa in due dimensioni che, grazie a una scala colorimetrica, fornisce un’accurata descrizione visiva della forma della cornea.

La topografia, assieme alla tomografia corneale, che studia non solo la superficie anteriore ma anche quella posteriore, consente di descrivere nel dettaglio la cornea, conoscerne regolarità e spessori e identificare stadi anche molto iniziali di malattie quali il cheratocono. Il cheratocono è una malattia in cui la cornea si deforma, incurva e assottiglia progressivamente, riducendo drammaticamente la vista e, nei casi più gravi e trascurati, portando alla necessità di un trapianto di cornea.

OCT: a cosa serve la tomografia?

L’OCT è un esame essenziale per identificare e monitorare diverse patologie della cornea, retina e nervo ottico, come:

  • Cheratocono: malattia genetica che provoca cambiamenti nella curvatura e assottigliamento della cornea, compromettendo la sua funzione.
  • Membrana epiretinica (pucker maculare): formazione di tessuto fibroso sulla macula, che causa distorsione visiva e difficoltà nella lettura e visione a distanza. La diagnosi precoce e il monitoraggio regolare tramite OCT sono cruciali. 
  • Retinopatia diabetica: una condizione dovuta al danno ai vasi sanguigni retinici, frequente nei pazienti con diabete. Provoca edema maculare diabetico e grave riduzione della vista. L’OCT permette una diagnosi precoce e il monitoraggio della risposta alle terapie.
  • Degenerazione maculare legata all’età o deterioramento della macula con l’invecchiamento, che può manifestarsi in forma secca (atrofia) o umida (neovascolare). La forma secca causa una riduzione progressiva della visione, mentre quella umida porta a una rapida perdita della visione centrale. L’OCT serve per monitorare la progressione e pianificare il trattamento.

Che cos’è la conta endoteliale 

L’endotelio corneale viene studiato mediante apposite foto che consentono di verificare forma e numero delle cellule che lo compongono. È un esame fondamentale, ad esempio, prima dell’intervento per cataratta, perché informa sulla vitalità corneale e mette in guardia contro un possibile danno chirurgico permanente e irreversibile. 

Una cornea con una conta endoteliale aumenta di spessore, perde la sua trasparenza e ostacola un efficace passaggio della luce. Fortunatamente, oggi esistono tecniche chirurgiche – quali il trapianto lamellare – che permettono di trattare gli scompensi corneali in maniera meno invasiva.

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A cura di cmaddaleni
Dislipidemia: cos’è e quali sono i sintomi
Data articolo:Mon, 17 Mar 2025 10:01:52 +0000

La dislipidemia è una condizione in cui si verifica un’alterazione nei livelli di grassi presenti nel sangue, come colesterolo e trigliceridi.

Il colesterolo svolge un ruolo fondamentale nella struttura delle membrane cellulari ed è necessario per la sintesi di ormoni e vitamine essenziali. I trigliceridi, d’altra parte, costituiscono una delle principali riserve energetiche del corpo e vengono immagazzinati nelle cellule adipose che compongono il tessuto grasso.

Tuttavia quando i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue risultano troppo elevati, aumenta significativamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.

Ne parliamo con la dottoressa Tiziana Anita Ammaturo, cardiologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Quali sono le cause della dislipidemia?

La dislipidemia può avere origini diverse:

  1. Genetica, con mutazioni che portano a una produzione eccessiva o a una difficoltà nell’eliminazione di colesterolo e trigliceridi.
  2. Stile di vita scorretto, come la mancanza di attività fisica, una dieta ricca di grassi e povera di frutta e verdura, o l’abuso di alcol.
  3. Condizioni mediche come diabete, obesità, insulino-resistenza, ipotiroidismo, sindrome dell’ovaio policistico, malattie epatiche e renali, oppure l’uso di certi farmaci (come estroprogestinici, glucocorticoidi).

I sintomi della dislipidemia

In genere, la dislipidemia non presenta sintomi evidenti fino a quando non provoca danni agli organi, come l’accumulo di grassi sulle pareti arteriose che porta alla formazione di placche aterosclerotiche. Questi restringimenti possono bloccare il flusso sanguigno e provocare patologie gravi come aterosclerosi, infarti, ictus o arteriopatie periferiche.

Nei casi di ipercolesterolemie familiari si possono manifestare segni clinici caratteristici, tra cui:

  • Xantomi tendinei: accumuli di colesterolo nei tendini, spesso visibili a livello del tendine di Achille o delle mani.
  • Xantelasmi: placche giallastre attorno alle palpebre.
  • Arco corneale: un alone biancastro intorno alla cornea, più comune in età avanzata ma talvolta presente precocemente nei pazienti con dislipidemia genetica.

La diagnosi di dislipidemia

Per diagnosticare una dislipidemia è sufficiente un prelievo di sangue per misurare i livelli di colesterolo totale, LDL, HDL e trigliceridi a digiuno.

Ogni quanto controllare il colesterolo? Le linee guida suggeriscono:

  • Adulti sani: ogni 4-6 anni.
  • Persone con fattori di rischio cardiovascolare (familiarità, fumo, diabete, ipertensione, obesità): ogni 1-2 anni.
  • Persone con diagnosi di dislipidemia o in trattamento: controlli regolari secondo indicazione medica.

Si può prevenire la dislipidemia?

Le linee guida per affrontare la dislipidemia sottolineano l’importanza di intervenire prima di tutto sullo stile di vita, eventualmente integrando una terapia farmacologica quando necessario. Tra i cambiamenti consigliati, l’attività fisica regolare gioca un ruolo cruciale nella gestione di sovrappeso e obesità: almeno 150 minuti a settimana di esercizio aerobico (camminata veloce, corsa, nuoto o ciclismo) aiutano a migliorare il metabolismo lipidico.

Sul fronte alimentare, la prevenzione delle dislipidemie passa attraverso una dieta mediterranea, basata prevalentemente su alimenti di origine vegetale, ricchi di fibre, antiossidanti e grassi salutari. Questa dieta aiuta a mantenere un profilo lipidico equilibrato, riducendo i livelli di colesterolo LDL e di trigliceridi, mentre favorisce l’aumento del colesterolo HDL (“buono”).

È essenziale ridurre il consumo di:

  • Zuccheri raffinati: presenti in dolci, bevande zuccherate, prodotti da forno industriali e snack confezionati. Questi alimenti contribuiscono all’aumento della glicemia e favoriscono l’accumulo di grassi nel sangue.
  • Grassi saturi: contenuti in carni rosse, burro, margarina, formaggi non scremati, fritti e prodotti industriali. Questi grassi favoriscono l’aumento del colesterolo LDL e l’infiammazione vascolare.
  • Alcol: un consumo eccessivo può aumentare i trigliceridi e il rischio di malattie cardiovascolari. Si consiglia di limitarlo a un massimo di un bicchiere di vino al giorno.

Un’alimentazione equilibrata deve includere:

  • Frutta e verdura: ricche di fibre, vitamine e antiossidanti che aiutano a ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione. Si consiglia di consumarne almeno 5 porzioni al giorno, privilegiando frutta di stagione.
  • Proteine magre: preferire il pesce (soprattutto azzurro come sgombro e salmone, ricco di omega-3), il pollo, il tacchino, i legumi e le uova, evitando tagli grassi di carne rossa.
  • Cereali integrali: pane, pasta, riso, quinoa e farro integrali contribuiscono a mantenere stabili i livelli di zuccheri nel sangue e migliorano la salute cardiovascolare.
  • Frutta secca e semi: noci, mandorle, semi di lino e di chia contengono grassi buoni che migliorano il profilo lipidico. Tuttavia, vanno consumati con moderazione a causa dell’elevato apporto calorico.
  • Legumi: ceci, fagioli, lenticchie e piselli sono una fonte eccellente di proteine vegetali e fibre, contribuendo alla riduzione del colesterolo LDL.
  • Olio extravergine d’oliva: ricco di acidi grassi monoinsaturi e polifenoli, aiuta a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. 

Oltre alla dieta, smettere di fumare è una delle misure più efficaci per ridurre il rischio cardiovascolare. Il fumo favorisce l’infiammazione dei vasi sanguigni, accelera la formazione di placche aterosclerotiche e aumenta il rischio di infarto e ictus. Dopo pochi mesi dall’abbandono del fumo, i benefici cardiovascolari iniziano a essere evidenti, con un netto miglioramento del profilo lipidico.

Come si cura la dislipidemia?

Il trattamento delle dislipidemie varia a seconda dei livelli di lipidi nel sangue e delle condizioni generali del paziente e può prevedere l’uso di farmaci o integratori specifici, sempre sotto indicazione medica.

Gli integratori alimentari, noti anche come nutraceutici, sono utili per regolare il metabolismo dei grassi. Tra quelli più comuni si trovano la berberina, i policosanoli, le fibre solubili come i betaglucani, i fitosteroli e il riso rosso fermentato, che deve la sua popolarità alla presenza di monacolina K, una sostanza con effetti ipocolesterolemizzanti.

Nel caso si renda necessario intervenire con i farmaci, vi sono varie opzioni terapeutiche

  • Statine: sono i farmaci più utilizzati per ridurre il colesterolo LDL (“cattivo”). Agiscono inibendo l’enzima HMG-CoA reduttasi, responsabile della sintesi del colesterolo nel fegato. Esempi includono atorvastatina, simvastatina e rosuvastatina.
  • Inibitori dell’assorbimento del colesterolo: come l’ezetimibe, riducono l’assorbimento intestinale del colesterolo alimentare, abbassando i livelli di LDL nel sangue. Sono utilizzati da soli o in combinazione con le statine.
  • Leganti degli acidi biliari: questi farmaci (colestiramina, colestipol, colesevelam) si legano agli acidi biliari nell’intestino, impedendone il riassorbimento e costringendo il fegato a consumare più colesterolo per produrne di nuovi, riducendo così i livelli di LDL.
  • Derivati dell’acido fibrico (fibrati): farmaci come fenofibrato e gemfibrozil riducono principalmente i trigliceridi e aumentano i livelli di colesterolo HDL (“buono”), modulando l’attività dei recettori PPAR-a coinvolti nel metabolismo lipidico.
  • Integratori di grassi omega-3: gli acidi grassi omega-3 (EPA e DHA), presenti in oli di pesce e formulazioni farmaceutiche, aiutano a ridurre i trigliceridi e hanno effetti antinfiammatori e cardioprotettivi.
  • Niacina (vitamina B3): può aumentare il colesterolo HDL e ridurre i trigliceridi. 
  • Acido bempedoico: un farmaco relativamente nuovo che inibisce un enzima coinvolto nella sintesi epatica del colesterolo, riducendo i livelli di LDL. È spesso utilizzato in combinazione con statine nei pazienti che necessitano di un’ulteriore riduzione del colesterolo per raggiungimento del target terapeutico.

In casi particolari, quando il paziente ha patologie cardiovascolari e non tollera le statine o in aggiunta alle stesse se non è stato raggiunto il livello di colesterolo ottimale,  si può ricorrere all’inclisiran e agli anticorpi monoclonali inibitori del PCSK9 (come alirocumab e evolocumab). Entrambi agiscono bloccando, con modalità differenti, il PCSK9, una proteina che degrada i recettori epatici del colesterolo LDL. Aumentando questi recettori, il fegato rimuove più LDL dal sangue.

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