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News Ospedale Humanitas di Rozzano(Milano)

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Basalioma: cos’è e come riconoscerlo
Data articolo:Tue, 16 Sep 2025 09:34:19 +0000

Il carcinoma basocellulare, conosciuto anche come basalioma, è un tumore della pelle, così chiamato per via delle cellule tumorali microscopicamente simili a quelle dello strato basale dell’epidermide. 

Secondo i dati SIDeMaST (Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse) del 2024, circa 1 persona su 1000 sviluppa un basalioma nel corso della vita. È più frequente dopo i cinquant’anni, ma si riscontra sempre più spesso anche nei giovani a causa della crescente esposizione solare. Per questo tende a formarsi principalmente sul viso – soprattutto sul naso – ma può interessare anche collo, tronco, braccia e mani, aree maggiormente esposte ai raggi UV.

Ne parliamo con il professor Marco Ardigò, capo sezione di Dermatologia Oncologica presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Quali sono i fattori di rischio del basalioma?

Esistono diversi fattori di rischio associati allo sviluppo del basalioma. Tra quelli legati al fenotipo vi è una maggiore vulnerabilità nelle persone con pelle chiara, occhi chiari e capelli biondi o rossi. I fattori ambientali comprendono l’esposizione intensa, prolungata e senza protezione ai raggi ultravioletti (UV), inclusi quelli artificiali emessi da lampade e lettini abbronzanti, soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza.

Questi raggi possono danneggiare il DNA delle cellule epidermiche, provocando mutazioni nei geni che regolano la crescita cellulare e avviando così il processo tumorale. Chi ha già avuto un basalioma presenta un rischio aumentato di svilupparne altri o di incorrere in altri tumori cutanei indotti dall’esposizione ai raggi UV.

In rari casi il basalioma può insorgere in seguito a ustioni, esposizione a radiazioni ionizzanti come raggi x o per prolungata esposizione ad agenti chimici come l’arsenico. 

Molto meno comune è la predisposizione genetica, come ad esempio nel caso della sindrome di Gorlin-Goltz. Questa rara condizione comporta, già in giovane età (intorno ai 20-25 anni), lo sviluppo di basaliomi multipli, spesso associati ad anomalie scheletriche, tumori cerebrali e caratteristiche depressioni puntiformi su palmi e piante di mani e piedi. 

Basalioma, come riconoscerlo?

Si riconoscono diversi tipi di carcinoma basocellulare:

  • Carcinoma basocellulare superficiale: il più comune, si manifesta come una macchia eritematosa dai limiti ben definiti, che può essere leggermente elevata e con una superficie lucida.
  • Carcinoma basocellulare nodulare: molto frequente, si manifesta come una lesione perlacea con margini ben definiti e con teleangectasie (dilatazione di piccoli vasi sanguigni). Al centro può esservi una crosta o un’ulcerazione.
  • Carcinoma basocellulare pigmentato: sia la forma superficiale che quella nodulare possono presentare lesioni marroni, blu o nere per via della presenza di pigmento melaninico.
  • Epitelioma basocellulare sclerodermiforme: la forma infiltrante, si manifesta di solito come una cicatrice, di colore biancastro e con consistenza dura al tatto. Può essere meno evidente in fase iniziale, richiedendo attenzione particolare.

Come si cura il basalioma?

La diagnosi di basalioma in genere viene effettuata nel corso di una visita dermatologica, attraverso l’esame clinico e la dermoscopia. Lesioni dubbie alla dermoscopia possono essere verificate con la microscopia confocale, una metodica che permette di visualizzare il tumore dal punto di vista microscopico senza dover ricorrere immediatamente a una biopsia. Se persistono dubbi si ricorre comunque all’esame istologico per confermare la diagnosi.

Questo tipo di tumore ha una crescita lenta e raramente si diffonde ad altri organi. In linea di massima ha una prognosi favorevole, e l’intervento chirurgico – che resta il trattamento di elezione – permette la rimozione completa del tumore nella maggior parte dei casi. 

Quando però il tumore è superficiale, o quando il paziente presenta condizioni che sconsigliano l’intervento chirurgico (per età avanzata o terapie farmacologiche in corso, per esempio), si possono valutare terapie alternative. 

Per i carcinomi basocellulari superficiali, tra le opzioni disponibili vi è l’immunoterapia locale con l’imiquimod, una crema che stimola il sistema immunitario ad attaccare le cellule tumorali. Un’altra possibilità è la terapia fotodinamica, che prevede l’applicazione di un farmaco fotosensibilizzante (come l’aminolevulinato) sulla lesione, che poi viene attivato da una sorgente luminosa, distruggendo così le cellule malate. 

In situazioni più complesse, come i tumori localmente avanzati o non completamente asportabili con la chirurgia, si può ricorrere alla radioterapia o a trattamenti sistemici, come gli inibitori della via di Hedgehog, che rappresentano opzioni innovative e efficaci.

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A cura di mmaestri
Gonorrea: che cos’è e quali sono i sintomi
Data articolo:Tue, 16 Sep 2025 08:29:21 +0000

La gonorrea è un’infezione sessualmente trasmissibile causata dal batterio Neisseria gonorrhoeae, in grado di infettare le vie uretrali maschili e il tratto uro-genitale femminile.  

Quali sono i sintomi della gonorrea e come si cura? Ne parliamo con la dottoressa Valeria Scolaro, ginecologa presso il Fertility Center dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

I sintomi della gonorrea

La gonorrea può essere asintomatica; quando presenti, i sintomi sono: 

nel sesso femminile

nel sesso maschile

  • secrezioni abbondanti e dense di colore giallo-verdastro dall’uretra
  • bruciore e difficoltà a urinare (uretrite). 

Altri sintomi possono essere: 

  • infiammazione della mucosa rettale, con dolore, prurito, secrezioni e sanguinamento a livello anale
  • movimenti intestinali dolorosi
  • faringite.

Come avviene la diagnosi di gonorrea?

La diagnosi di gonorrea si basa su esami di laboratorio che prevedono il prelievo di campioni dalle aree del corpo più comunemente coinvolte, quali cervice, uretra, retto e faringe, utilizzando tamponi. I campioni raccolti vengono successivamente analizzati attraverso due metodi principali:

  • Esame diretto: permette di identificare il batterio attraverso un’osservazione al microscopio, spesso utilizzando tecniche di colorazione specifiche.
  • Esame colturale: consiste nella coltura dei campioni in laboratorio per individuare e confermare la presenza del batterio, garantendo un’accuratezza maggiore rispetto all’esame diretto.

In caso di diagnosi positiva di gonorrea, è fondamentale che tutti i partner sessuali siano sottoposti a test per verificare eventuali infezioni. Inoltre, si raccomanda ai pazienti di effettuare controlli per altre infezioni sessualmente trasmissibili (IST), al fine di garantire un trattamento completo e prevenire ulteriori complicanze.

Come si cura la gonorrea?

La gonorrea è un’infezione batterica che può essere trattata con successo con antibiotici specifici prescritti da un medico, in base ai risultati dell’antibiogramma. Tuttavia, la diffusione di ceppi batterici farmacoresistenti sta compromettendo l’efficacia di alcuni trattamenti.

È importante che i pazienti si astengano dall’attività sessuale fino al completo recupero, per prevenire la trasmissione dell’infezione ai partner sessuali.

Se non trattata, la gonorrea può causare gravi complicazioni. Nelle persone di sesso femminile, può diffondersi dall’uretra o dalla cervice alle vie riproduttive, provocando malattia infiammatoria pelvica. Questa condizione può portare a endometrite, salpingite, annessite, febbre, dolore pelvico cronico, formazione di ascessi e infertilità.

Durante la gravidanza, la gonorrea può provocare rottura prematura delle membrane, ritardo di crescita intrauterina e parto pretermine. Inoltre, può essere trasmessa al neonato al momento del parto, causando complicanze neonatali come infezioni o altre problematiche di salute.  

Nei maschi la gonorrea può portare a complicazioni come l’epididimite, caratterizzata da infiammazione acuta dell’epididimo, dolore scrotale e gonfiore. Se non trattata, questa condizione può evolvere in infertilità.  

Le persone con gonorrea hanno un rischio maggiore di trasmettere o contrarre l’HIV rispetto a chi non è infetto.  

L’uso corretto e costante del preservativo durante l’attività sessuale rappresenta il metodo più efficace per prevenire l’infezione da gonorrea e altre infezioni sessualmente trasmissibili.

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A cura di mmaestri
Tumore al seno: in Humanitas torna “Paziente diplomata”
Data articolo:Fri, 12 Sep 2025 13:18:50 +0000

Torna in Humanitas la conferenza “Paziente diplomata” rivolta a donne “con e senza tumore al seno”. Alla sua dodicesima edizione, l’evento si terrà sabato 18 ottobre 2025, dalle 9.00 alle 15.00 ed è promosso da Humanitas Cancer Center e dalla Scuola Italiana di Senologia, in collaborazione con Mamazone, network di pazienti con tumore al seno, ricercatrici e ricercatori. 

L’evento è organizzato dal dottor Wolfgang Gatzemeier, Capo Sezione dell’Unità Operativa di Senologia e Vice Direttore della Breast Unit presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano, dal professor Claudio Andreoli, senologo presso Humanitas Rozzano, Capo Sezione dell’Unità Operativa di Senologia presso Humanitas Mater Domini e Direttore della Scuola Italiana di Senologia (SIS), da Margarita Gjeloshi, infermiera dedicata alle pazienti con tumore della mammella presso Humanitas Rozzano, e dalla dottoressa Lior Ben Aroche, specialista dell’Unità operativa di Senologia presso Humanitas Rozzano. 

“Paziente diplomata” ha l’obiettivo di fornire tutte le conoscenze e gli strumenti necessari per affrontare i cambiamenti del corpo a seguito di una diagnosi di tumore al seno e nelle varie fasi del processo di cura

Tumore al seno: perché una giornata dedicata

Il tumore al seno rappresenta il più frequente tumore nel sesso femminile, con oltre 50.000 nuovi casi ogni anno in Italia. Tuttavia, grazie ai progressi della Ricerca, alle innovazioni nella diagnostica e nelle terapie, le prospettive di guarigione e di qualità della vita sono in continua crescita. La diagnosi precoce permette di individuare la maggior parte dei tumori ancora in fase iniziale, offrendo la possibilità di interventi conservativi; inoltre, le terapie oncologiche innovative aumentano le percentuali di guarigione definitiva. I trattamenti personalizzati, che tengono conto delle condizioni specifiche di ogni paziente, rendono ancora più cruciale il coinvolgimento attivo della donna nel percorso di cura.

Ogni tumore al seno presenta diverse caratteristiche biologiche e morfologiche uniche, che influiscono sulla valutazione dei trattamenti e sull’esito delle cure. L’obiettivo di Humanitas è rendere le pazienti con tumore al seno sempre più consapevoli, dunque non più semplici spettatrici della propria malattia, ma protagoniste attive nelle scelte e nella gestione quotidiana della patologia.

Diagnosi e cura sono al centro della conferenza “Paziente diplomata”, così come la possibilità di incontro tra gli specialisti Humanitas e le pazienti. Fondamentale, poi, anche il discorso sulla prevenzione, per cui “Paziente diplomata” apre le sue porte a tutte le persone che desiderano maggiori informazioni su questo tumore e sulle strategie di prevenzione da adottare.

Dall’avanguardia nella diagnostica alle terapie biologiche: i temi dell’evento

Gli argomenti trattati durante l’evento saranno numerosi e di grande rilevanza. L’evento si aprirà con un panel dedicato a fornire dati e informazioni sulle terapie endocrine grazie all’intervento di specialisti oncologi, ginecologi, endocrinologi e di Medicina dell’esercizio, a cui seguirà un approfondimento sulle evoluzioni del percorso di follow-up per le pazienti oncologiche.

Un focus anche sulle recidive, con un approfondimento su metastasi e radioterapia, e sui nuovi farmaci a disposizione per il tumore della mammella.

Come iscriversi all’edizione di “Paziente diplomata”

Sabato 18 ottobre 2025
Humanitas Congress Center – via Manzoni 113, 20089 Rozzano (Milano)
Dalle 9:00 alle 15:00

La partecipazione è gratuita, previa iscrizione entro e non oltre il 16 ottobre 2025. Per ulteriori informazioni e iscrizioni clicca qui.


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A cura di mmaestri
Pertosse: cos’è e quali sono i sintomi
Data articolo:Fri, 12 Sep 2025 08:41:13 +0000

La pertosse, nota anche come tosse convulsa, è una malattia batterica causata dal batterio Bordetella pertussis. Sebbene sia più comune durante l’infanzia, può colpire anche gli adulti. La patologia interessa le vie respiratorie e il sintomo principale è una tosse intensa e persistente, che può durare settimane o addirittura mesi. Nei bambini la pertosse può evolvere in bronchiolite, un’infiammazione acuta e grave delle vie aeree che può causare ostruzione respiratoria.

Ne parliamo con il dottor Filippo Medioli, infettivologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Cos’è la pertosse e come si trasmette

La pertosse si trasmette  principalmente attraverso le goccioline di saliva o muco emesse parlando, tossendo o starnutendo (droplets) da persone infette. Si tratta di una patologia altamente contagiosa, soprattutto nelle prime fasi di incubazione, quando i sintomi possono essere simili a quelli di un comune raffreddore. L’incubazione della pertosse varia da 4 a 21 giorni e la contagiosità è massima nelle prime due settimane di malattia.

Come abbiamo detto, la pertosse può essere molto severa nei bambini, portando a complicanze come la bronchiolite e altre condizioni respiratorie gravi. Nell’adulto, invece, le vie aeree sono più sviluppate e il decorso della malattia tende ad essere meno grave, con un rischio di complicanze molto inferiore. Per prevenire la pertosse, oggi è disponibile un vaccino efficace, obbligatorio per i neonati e i bambini, ma anche raccomandato per gli adulti per proteggere se stessi e gli altri.

Pertosse: quali sono i sintomi

I sintomi della pertosse nelle prime fasi sono lievi e simili a quelli di un comune raffreddore (fase catarrale). Successivamente, si manifestano sintomi più severi (fase convulsiva), caratterizzati da una tosse particolarmente violenta e incoercibile.

Inoltre, se la pertosse non viene trattata tempestivamente, si può verificare un peggioramento dei sintomi e il rischio di complicanze, come la bronchiolite nei bambini. Le persone con pertosse possono mantenere la contagiosità fino a 3 settimane dall’esordio della fase convulsiva, contribuendo così alla diffusione dell’infezione. Questo rappresenta un rischio concreto, soprattutto in ambienti come le scuole.

Cosa fare in caso di pertosse?

In presenza di tosse molto intensa e persistente, è importante consultare il medico di medicina generale. Inizialmente, infatti, la pertosse può essere confusa con un semplice raffreddore o un’altra comune infezione delle vie respiratorie, il che può ritardare la diagnosi e l’inizio del trattamento, favorendo così la diffusione dell’infezione ad altre persone. 

Il trattamento della pertosse prevede l’uso di antibiotici, solitamente macrolidi, e la terapia dipende dall’età e dalla gravità dei sintomi. Nei bambini con forme più severe, può essere necessario il ricovero ospedaliero, poiché le complicanze di una pertosse grave includono apnea, broncopolmonite, convulsioni ed encefalite. Per adolescenti e adulti, invece, di solito è possibile seguire la terapia a domicilio. 

Per prevenire la pertosse, il calendario vaccinale raccomanda la vaccinazione per tutti i neonati. La vaccinazione viene somministrata in tre dosi e comprende, oltre alla pertosse acellulare, anche difterite, tetano, poliomielite, epatite B ed Haemophilus influenzae di tipo B (vaccino esavalente). Inoltre, è previsto un richiamo a 5-6 anni e una seconda dose durante l’adolescenza, a partire dai 12 anni. Per gli adulti, si consiglia un richiamo ogni 10 anni. 

Oltre alla vaccinazione, per ridurre la diffusione del virus, è fondamentale seguire le norme igieniche generali, come coprire bocca e naso con un fazzoletto o con il braccio quando si starnutisce o si tossisce, e lavarsi frequentemente le mani.

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A cura di mmaestri
Utero: che cos’è l’ectropion
Data articolo:Thu, 11 Sep 2025 09:47:54 +0000

Nel linguaggio comune viene definita “piaghetta”, ma il termine medico corretto è ectropion e indica un’estroflessione, ovvero un ripiegamento rivolto verso l’esterno di un organo o di un tessuto anatomico.

La piaghetta della cervice uterina, ovvero quella parte dell’utero che sporge nella vagina e collega la cavità uterina alla vagina stessa, rappresenta un’estroflessione delle cellule interne del canale cervicale, che si proiettano sulla superficie vaginale della cervice. Questa condizione è più frequentemente riscontrata in età fertile.

Quali sono le cause e i sintomi dell’ectropion cervicale? Ne parliamo con il dottor Gianluigi Bresciani, ginecologo dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano.

Che cos’è l’ectropion?

L’ectropion, noto anche come piaghetta, è una lesione benigna del collo dell’utero che si manifesta a livello dell’orifizio uterino esterno, la parte più vicina alla vagina. Si verifica quando una porzione del tessuto di rivestimento del canale cervicale si espande verso l’esterno, andando a impiantarsi sull’epitelio vaginale, che riveste normalmente anche il collo dell’utero. Questa fuoriuscita dalla sua sede naturale appare come una piccola lesione arrossata e infiammata intorno all’orifizio uterino esterno. Le dimensioni possono variare, e in genere è il ginecologo, durante una visita di routine, a scoprirne la presenza.

L’ectropion è tipicamente causato da cambiamenti ormonali associati alla pubertà, alla gravidanza e all’uso di contraccettivi orali. In alcuni casi, può essere presente fin dalla nascita.

Ectropion: quali sono i sintomi?

L’ectropion cervicale è spesso una condizione asintomatica. Tuttavia, in alcuni casi possono presentarsi sintomi comuni a diverse condizioni ginecologiche, quali:

  • perdite di sangue, in genere dopo un rapporto sessuale;
  • spotting, ovvero piccole perdite di sangue tra una mestruazione e la successiva;
  • secrezioni vaginali simili a muco (leucorrea).

In presenza di questi sintomi è consigliabile rivolgersi al ginecologo, soprattutto se sono ricorrenti.
È importante non sottovalutare questa condizione, poiché la zona interessata è delicata e soggetta a infiammazioni che, se trascurate, possono favorire lo sviluppo di lesioni cervicali, anche di natura pre-tumorale.

Per questo motivo, si raccomanda di sottoporsi a un Pap test annuale e di seguire alcune semplici precauzioni di igiene intima, come evitare di indossare salvaslip se non strettamente necessario e usare il preservativo durante i rapporti sessuali. Questi comportamenti aiutano a prevenire la proliferazione di batteri e infezioni che possono infiammare facilmente la piaghetta.

È necessario intervenire chirurgicamente?

Se la piaghetta non provoca problemi è sufficiente mantenerla sotto controllo periodico con visite programmate dal ginecologo. Se, invece, sono presenti infiammazioni o il fastidio è notevole, è possibile:

  • la prescrizione di una terapia ormonale
  • la vaporizzazione laser
  • la rimozione chirurgica mediante diatermocoagulazione. Questa tecnica consiste nell’utilizzo di un bisturi elettrico per bruciare l’erosione in modo rapido e ambulatoriale, senza bisogno di anestesia né dolore. Dopo l’intervento, sarà necessario astenersi dai rapporti sessuali per almeno 20-30 giorni, al fine di permettere alla lesione di cicatrizzarsi correttamente. In questo periodo, si possono osservare perdite vaginali inizialmente rosse, che successivamente diventano biancastre, segno che il processo di cicatrizzazione è in corso.

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A cura di mmaestri
Prevenire il cancro della bocca: lo studio APHRODITE apre una nuova strada con l’immunoterapia
Data articolo:Wed, 10 Sep 2025 08:24:06 +0000

Negli ultimi anni, l’oncologia ha compiuto passi da gigante non solo nella cura dei tumori, ma anche nella loro prevenzione e diagnosi precoce. In questo contesto si inserisce la strategia innovativa della cancer interception, che mira a bloccare l’evoluzione delle lesioni precancerose prima che si trasformino in tumori. Non si tratta solo di individuare precocemente la malattia, ma di intervenire attivamente alla radice, modificando il corso del processo patologico attraverso terapie mirate.

È proprio in questa direzione che colloca lo studio APHRODITE, un nuovo progetto clinico supportato dal Clinical Innovator Award del prestigioso Cancer Research Institute di New York e coordinato dall’IRCCS Istituto Clinico Humanitas. Lo studio partirà in autunno in cinque centri italiani. Con un obiettivo ambizioso — intercettare la trasformazione tumorale prima che si sviluppi il cancro — il progetto, recentemente approvato da AIFA e sostenuto anche dalla Fondazione AIRC, che ha finanziato le ricerche alla base dello studio, testerà per la prima volta un approccio di immunoterapia locale in pazienti con lesioni orali potenzialmente maligne. Al centro dello studio c’è un farmaco che attiva il recettore CD40 e stimola una risposta immunitaria mirata.

A guidare il progetto sono Paolo Bossi, oncologo responsabile della Sezione Tumori Testa-Collo di Humanitas e docente di Humanitas University, e Enrico Lugli, direttore del Laboratorio di Immunologia Traslazionale. La loro collaborazione rappresenta un esempio concreto di ricerca traslazionale, in cui il dialogo tra clinica e laboratorio permette di tradurre le scoperte scientifiche in strumenti terapeutici innovativi. Al loro fianco, come co-investigatori, contribuiscono importanti professionisti di Humanitas come Luigi Lorini, Giuseppe Mercante, Alberto Paderno e Maria Rescigno, esperti nei rispettivi ambiti clinici e di ricerca, che arricchiscono ulteriormente la multidisciplinarietà del progetto.

Il cancro del cavo orale: una minaccia spesso annunciata

Il cancro del cavo orale è ancora oggi una patologia difficile da trattare, con tassi di sopravvivenza a cinque anni che, nei casi più avanzati, non superano il 50-60%. Tuttavia, la malattia può essere anticipata da segnali premonitori: le cosiddette lesioni orali potenzialmente maligne (OPMD) possono precedere lo sviluppo del tumore anche di diversi anni. Sebbene non siano ancora cancerose, queste lesioni hanno una probabilità significativa di evolvere in forma maligna, con oltre il 50% dei casi di trasformazione. Anche in caso di intervento chirurgico di rimozione, la possibilità di progressione verso una neoplasia maligna non può essere esclusa.

Lo studio APHRODITE si rivolge proprio a questi pazienti a rischio, in una fase in cui l’intervento può essere di natura preventiva. I soggetti coinvolti riceveranno un trattamento localizzato, che prevede l’iniezione diretta del farmaco nella lesione stessa. Inoltre, verranno sottoposti a tecniche avanzate di screening immunologico e molecolare, condotte dal team di Enrico Lugli per identificare i meccanismi alla base della risposta immunitaria anti-tumorale. Sebbene la stimolazione del CD40 sia già stata testata in sperimentazioni cliniche di immunoterapia, questa è la prima volta che viene utilizzata in un contesto preventivo, con l’obiettivo di bloccare precocemente la trasformazione maligna. Il cavo orale è stato scelto non solo perché le lesioni precancerose sono facilmente visibili e accessibili, ma anche perché evidenze precliniche hanno dimostrato un ruolo dell’attivazione del recettore CD40 nello stimolare la risposta immunitaria durante le fasi iniziali della malattia.

Come spiega Paolo Bossi, l’obiettivo è «attivare una risposta immunitaria direttamente nel tessuto a rischio, prima che il tumore diventi clinicamente evidente. Vogliamo intervenire in modo precoce, sfruttando la capacità del sistema immunitario di riconoscere e distruggere le cellule anomale prima che si trasformino in tumore. È un approccio innovativo, che potrebbe rivoluzionare il modo in cui affrontiamo queste lesioni, offrendo ai pazienti un’opzione meno invasiva e più mirata rispetto alla chirurgia».

Lo studio, di fase II e di natura esplorativa, coinvolgerà circa 27 pazienti: un numero contenuto ma sufficiente per raccogliere dati utili a guidare ricerche future più ampie. Humanitas, in qualità di centro coordinatore, sarà affiancato da altri importanti centri italiani, tra cui ASST Santi Paolo e Carlo, l’Istituto Europeo di Oncologia, ASST Sette Laghi, ASST Lariana, l’Università Federico II di Napoli e l’Università di Bologna.

Ricerca traslazionale: dove laboratorio e clinica si incontrano

Un aspetto distintivo del progetto è l’integrazione tra sperimentazione clinica e deep profiling: ogni paziente verrà studiato in dettaglio attraverso tecnologie avanzate disponibili in Humanitas, come sottolinea Enrico Lugli. «Il nostro obiettivo non è solo valutare l’efficacia del farmaco, ma soprattutto capire in profondità come agisce e in quali pazienti può offrire il massimo beneficio. Grazie a tecnologie come la proteomica, la metabolomica e la citometria ad alta dimensionalità, possiamo analizzare dettagliatamente la risposta del sistema immunitario, identificare biomarcatori predittivi e personalizzare sempre più la terapia. Questa è l’essenza della medicina di precisione e il valore fondamentale della ricerca traslazionale: trasformare le scoperte scientifiche in strumenti concreti per migliorare la vita dei pazienti».

In definitiva, APHRODITE è molto più di una sperimentazione clinica. È il risultato di un lavoro condiviso tra clinici e scienziati, ed è un esempio concreto di come la ricerca traslazionale possa trasformare intuizioni scientifiche in opportunità terapeutiche reali. Dalla comprensione dei meccanismi biologici alla loro applicazione diretta sul paziente, questo studio dimostra quanto sia cruciale il dialogo continuo tra laboratorio e clinica. È proprio su questa integrazione che si costruisce il futuro della medicina di precisione, capace non solo di curare, ma anche – e soprattutto – di prevenire.

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A cura di mmaestri
Varicella: i sintomi e il legame con l’Herpes Zoster
Data articolo:Tue, 09 Sep 2025 10:10:23 +0000

La varicella è una malattia infettiva causata dal virus Varicella Zoster, che si trasmette facilmente da persona a persona. La malattia colpisce principalmente i bambini in età scolare e si manifesta con sintomi facilmente riconoscibili, tra cui febbre, malessere generale e le caratteristiche eruzioni cutanee con croste

Nella maggior parte dei casi, la varicella nei bambini si risolve spontaneamente senza complicanze. Tuttavia, quando contratta in età adulta, può portare a complicazioni gravi come encefalite e polmonite. In gravidanza, la varicella può rappresentare un rischio significativo per il feto, provocando possibili malformazioni congenite.

Ne parliamo con il dottor Filippo Medioli, infettivologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Varicella: cos’è e come si riconosce

La varicella è una malattia virale molto comune nella prima infanzia, caratterizzata da un’eruzione cutanea esantematosa. Il sintomo principale è il classico rash, costituito da macchie rosse ed eritematose che successivamente si trasformano in vescicole e, infine, in croste, accompagnate da intenso prurito. Il rash si presenta a ondate, note anche come “poussée”, con un andamento centrifugo: partono dal capo e dal tronco arrivando fino agli arti.

Oltre all’esantema, i sintomi della varicella più frequenti sono febbre lieve, mal di testa e generale senso di malessere. L’incubazione della malattia dura circa 2-3 settimane, mentre la fase acuta si protrae generalmente dai 7 ai 10 giorni, dopo i quali la condizione tende a risolversi spontaneamente. Per alleviare il prurito si ricorre spesso a farmaci antistaminici, mentre la febbre può essere controllata con paracetamolo. È importante monitorare attentamente la malattia e adottare le cautele necessarie per evitare complicazioni, specialmente nelle persone immunodepresse o in età avanzata.

Si può prendere la varicella da adulti?

L’infezione da varicella può verificarsi anche in età adulta, soprattutto in coloro che non hanno mai contratto la malattia in passato o non hanno completato il ciclo vaccinale. Contrarre la varicella da adulti può essere particolarmente rischioso, poiché aumenta la probabilità di sviluppare complicanze importanti. La più comune è la polmonite, ma possono insorgere anche encefalite, epatite, glomerulonefrite, infezioni da streptococco di gruppo A e trombocitopenia. 

In particolare, sono a maggior rischio di complicanze le persone immunodepresse, come coloro con condizioni che indeboliscono il sistema immunitario (ad esempio, HIV), o che stanno seguendo terapie specifiche, come la chemioterapia. Inoltre, il decorso della varicella può risultare più severo anche negli adolescenti.

Che cos’è l’Herpes Zoster?

L’Herpes Zoster è causato dallo stesso virus che provoca la varicella, ovvero il Virus Varicella Zoster. Si manifesta con un’eruzione cutanea molto dolorosa, tipicamente sotto forma di una placca infiammatoria con vescicole allungate, che di solito si sviluppa su un lato del corpo. Dopo aver contratto la varicella, il virus rimane in stato latente nei tessuti nervosi e può riattivarsi anni dopo, causando appunto l’Herpes Zoster. Secondo le stime, circa il 10-20% delle persone che hanno avuto la varicella sviluppano in seguito un episodio di Herpes Zoster.

Oltre alla caratteristica eruzione eritematosa e al dolore bruciante, i sintomi dell’Herpes Zoster possono includere brividi, febbre, mal di stomaco, mal di testa e spossatezza. Come la varicella, anche l’Herpes Zoster tende a risolversi spontaneamente nel tempo; tuttavia, vista la natura dolorosa della condizione, possono essere adottate terapie per alleviare i sintomi, come antidolorifici, farmaci antinfiammatori e applicazioni di gel topici. Inoltre, l’assunzione di antivirali può essere utile per ridurre la moltiplicazione del virus e accelerare la guarigione. 

Il vaccino per la varicella e l’Herpes Zoster

Per prevenire l’insorgenza di varicella ed Herpes Zoster o ridurne la gravità e la durata, in Italia è disponibile un vaccino efficace. Per tutti i neonati, la vaccinazione è obbligatoria e deve essere effettuata tra i 12 e i 24 mesi di età. Il vaccino anti-varicella è prodotto con virus vivi attenuati, che stimolano le difese immunitarie senza provocare la malattia. Può essere somministrato come vaccino monovalente o come parte di un vaccino combinato che include anche morbillo, parotite e rosolia (vaccino MPRV). È previsto un richiamo tra i 5 e i 6 anni di età. 

Negli adulti, la vaccinazione è raccomandata se non si è mai contratto la malattia in passato e se il ciclo vaccinale non è stato completato durante l’infanzia. È importante vaccinarsi perché, contratta in età adulta, la varicella può portare a complicazioni gravi come polmonite o encefalite. La vaccinazione è particolarmente consigliata a persone immunodepresse e a coloro che hanno contatti con soggetti immunodepressi. 

In età superiore agli 11 anni, è possibile effettuare la vaccinazione contro la varicella con due dosi, distanziate di almeno 28 giorni. La seconda dose di richiamo è fondamentale, poiché la protezione del vaccino si ottiene solo con entrambe le dosi completate.

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A cura di cmaddaleni
Tumori del sangue: perché le CAR-T sono una terapia innovativa
Data articolo:Tue, 09 Sep 2025 10:07:51 +0000

Le CAR-T sono cellule del sistema immunitario del paziente modificate tramite ingegneria genetica per riconoscere ed eliminare le cellule tumorali delle principali malattie oncoematologiche in un’unica infusione endovena.

In Italia le CAR-T sono garantite dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN) per la maggior parte delle malattie oncoematologiche refrattarie, in particolare i linfomi non Hodgkin diffusi a grandi cellule B, i linfomi mantellari, i linfomi follicolari e le leucemie acute linfoblastiche e i mielomi. Le CAR-T sono inoltre disponibili anche in alcuni protocolli sperimentali, anche per il trattamento di alcune malattie autoimmuni severe. 

Ne parliamo con la dottoressa Stefania Bramanti, Capo Sezione dell’Unità di Oncoematologia presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

Che cosa sono le CAR-T?

Le CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T-cell therapy) sono una terapia innovativa, in grado di sfruttare in maniera estremamente efficace l’attività fisiologica del sistema immunitario, in particolare delle cellule T. Grazie all’ingegneria genetica, le cellule T vengono modificate per essere specificamente armate contro bersagli specifici, ossia le cellule tumorali delle malattie oncoematologiche. In questo modo le cellule T possono riconoscere e distruggere le cellule tumorali selettivamente, riducendo al minimo gli effetti collaterali sulle cellule sane. 

Il trattamento con CAR-T prevede come primo passo un prelievo di sangue (aferesi) dal paziente in day hospital, per raccogliere i linfociti T tramite un separatore cellulare. I linfociti quindi sono inviati al laboratorio per il processo di ingegnerizzazione che le arma con il recettore CAR (Chimeric Antigen Receptor), che consente il riconoscimento delle cellule tumorali. Al termine del processo di produzione che dura circa 4 settimane, il paziente viene ricoverato e sottoposto a una terapia linfodepletiva, finalizzata a favorire l’attività delle celleule CAR-T. Infine le CAR-T vengono infuse nel paziente. 

Come funziona il trattamento con CAR-T?

Le CAR-T agiscono in maniera analoga al sistema immunitario naturale, con il vantaggio di essere state sottoposte a un’ingegnerizzazione genetica che consente di identificare in modo specifico le cellule tumorali e distruggerle selettivamente. Una volta infuse nel torrente circolatorio tramite una vena periferica, le CAR-T arrivano direttamente il sito tumorale, esercitando la loro azione come previsto dal normale funzionamento del sistema immunitario.  

Le CAR-T possono essere somministrate esclusivamente presso centri identificati dalle Regioni, che devono essere accreditati secondo gli standard JACIE per i trapianti allogenici e dotati di strutture adeguate per gestire efficacemente gli eventuali effetti collaterali del trattamento. L’IRCCS Istituto Clinico Humanitas è accreditato JACIE dal 2015 per i trapianti allogenici da donatori volontari e familiari e qualificato come Centro CAR-T dal 2019, con la possibilità di trattare pazienti sia all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, sia attraverso protocolli clinici sperimentali. 

Chi si può sottoporre al trattamento con CAR-T?

In Italia, il Sistema Sanitario Nazionale consente attualmente di trattare con CAR-T i pazienti con linfomi non Hodgkin diffusi a grandi cellule B dalla prima recidiva dopo la chemioterapia. Per i linfomi mantellari, è necessario attendere la refrattarietà alla chemio-immunoterapia e al trattamento con Ibrutinib; mentre per i linfomi follicolari, il trattamento con CAR-T è disponibile già dalla seconda recidiva. 

Per quanto riguarda i mielomi, oggi è possibile effettuare il trattamento con CAR-T dopo la seconda recidiva di mieloma multiplo e molto presto sarà possibile già dalla prima recidiva. Le leucemie acute linfoblastiche B possono invece essere trattate con CAR-T in caso di fallimento della chemioterapia e anche dopo il fallimento del trapianto. 

In generale, il Sistema Sanitario Nazionale definisce criteri di eleggibilità specifici per le diverse categorie di pazienti. Tutti coloro che hanno indicazione al trattamento con CAR-T devono essere valutati da un team specialistico dedicato, al fine di stabilire i possibili benefici e rischi associati alla terapia.

CAR-T: possibilità di guarigione ed effetti collaterali

Le CAR-T permettono la guarigione di circa il 50% dei pazienti chemio-refrattari, in particolare per i linfomi non Hodgkin B diffusi a grandi cellule. Per i mielomi, attualmente l’utilizzo delle CAR-T è indicato principalmente in terza recidiva; in questo contesto, non è ancora possibile parlare di guarigione, anche se si prevede che in futuro questa possa diventare una possibilità quando i trattamenti verranno applicati in fasi più precoci della malattia. Per quanto riguarda invece alcuni sottotipi di linfoma aggressivi, come il linfoma mantellare, le CAR-T rappresentano un’alternativa terapeutica efficace per pazienti trattati con chemioterapia e terapia con Ibrutinib con una buona prospettiva di guarigione intorno al 40%. 

Gli effetti collaterali delle CAR-T includono febbre, che interessa la maggioranza dei pazienti sottoposti al trattamento, e in alcuni casi alterazioni della pressione arteriosa e della saturazione di ossigeno. Più raramente, possono manifestarsi forme di neurotossicità, come difficoltà nella grafia e nel linguaggio. Si tratta tuttavia di effetti collaterali conosciuti e che possono essere efficacemente gestiti all’interno delle strutture accreditate per la somministrazione di CAR-T, grazie alla presenza di team multidisciplinari composti di ematologi, neurologi, anestesisti e infettivologi. Inoltre, i nuovi prodotti CAR-T presentano un profilo di tossicità ridotto rispetto alle versioni precedenti, migliorando così la sicurezza del trattamento.

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A cura di mmaestri
Amenorrea: le cause dell’assenza del ciclo mestruale
Data articolo:Tue, 09 Sep 2025 09:55:28 +0000

L’amenorrea è l’assenza del ciclo mestruale, una condizione che può avere rilevanti ripercussioni sia sul piano fisico sia su quello psicologico, con conseguente rischio di stress, in particolare nelle persone più giovani. 

Ne parliamo con la dottoressa Valeria Scolaro, ginecologa presso il Fertility Center dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Amenorrea: le cause

L’amenorrea si riferisce all’assenza del ciclo mestruale e si distingue in: 

  • Amenorrea primaria: se non si è mai avuto il primo ciclo mestruale (menarca).
  • Amenorrea secondaria: se un ciclo regolare si interrompe per almeno 3-6 mesi. 

Le cause di amenorrea sono molteplici e, al di fuori della gravidanza, possono includere: 

  • Disturbi alimentari: come anoressia nervosa e bulimia, che compromettono l’apporto di nutrienti essenziali.
  • Attività fisica intensa: atleti che praticano esercizi molto impegnativi, che possono causare alterazioni ormonali.
  • Farmaci: l’assunzione di alcuni farmaci, quali chemioterapici e antidepressivi, può influenzare il ciclo mestruale.
  • Disfunzioni ormonali: squilibri a livello endocrino, come ipotiroidismo o disfunzioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaie.
  • Anomalie congenite o acquisite del sistema riproduttivo: malformazioni o danni anatomici.

Una corretta diagnosi delle cause di amenorrea è fondamentale per impostare un trattamento adeguato.

Quali sono i sintomi dell’amenorrea?

Oltre all’assenza del ciclo mestruale, possono manifestarsi sintomi come: 

  • Acne
  • Pelle e capelli oleosi
  • Irsutismo (eccesso di peli in zone tipicamente maschili)
  • Galattorrea 
  • Perdita di capelli
  • Gonfiore. 

Si consiglia di consultare un ginecologo se si riscontrano tre cicli mestruali consecutivi saltati o se il primo ciclo non si è verificato entro i 15 anni di età.

Amenorrea: quali conseguenze?

Le possibili complicazioni associate all’amenorrea includono: 

  • Problemi di fertilità e gravidanza. Senza l’ovulazione, non si può concepire. Tuttavia, le ragazze più giovani con amenorrea dovrebbero comunque utilizzare metodi contraccettivi poiché persiste la possibilità di rimanere incinta.
  • Stress emotivo. Essere l’unica tra amiche o conoscenti a non avere il ciclo mestruale può causare tensione e disagio, in particolare nelle ragazze che stanno diventando adulte.
  • Osteoporosi e complicanze cardiovascolari. Entrambe queste condizioni possono derivare da una carenza di estrogeni. L’osteoporosi comporta una riduzione della densità ossea, aumentando il rischio di fratture. Le patologie cardiovascolari, che includono infarti e problemi relativi ai vasi sanguigni e al cuore, possono associarsi a situazioni critiche come l’anoressia nervosa.
  • Dolore pelvico. Se l’amenorrea è causata da un problema anatomico, potrebbe manifestarsi anche un dolore nella regione pelvica.

È importante consultare uno specialista per valutare le cause dell’amenorrea e adottare le strategie più appropriate per prevenire o gestire queste complicanze.

Come curare l’amenorrea?

I trattamenti dell’amenorrea variano a seconda della causa e possono comprendere: 

  • Bilanciamento del peso con una dieta personalizzata
  • Gestione dello stress
  • Esercizio fisico moderato
  • Terapie ormonali
  • Interventi chirurgici (in casi rari). 

Generalmente, una volta trattata la causa, il ciclo mestruale dovrebbe riprendere, anche se potrebbe essere necessario un po’ di tempo affinché si stabilizzi definitivamente.

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A cura di cmaddaleni
Pelle e stress, quale legame?
Data articolo:Tue, 09 Sep 2025 09:53:05 +0000

Lo stress è un fenomeno comune nella vita quotidiana di molte persone, ma quando è intenso e prolungato, può avere un impatto significativo sulla salute, inclusa quella della pelle. Qual è il legame tra stress e malattie della pelle? Ne parliamo con il dottor Michele Cardone, dermatologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e con la dottoressa Paola Mosini, psicologa e psicoterapeuta di Humanitas PsicoCare.

Lo stress può causare la comparsa di malattie della pelle?

Lo stress psicologico può incidere sull’insorgenza o sull’aggravamento di specifiche condizioni dermatologiche come la psoriasi, l’acne, l’orticaria e la dermatite atopica. Questi disturbi, quando influenzati dallo stress emotivo, possono essere considerati psicosomatici, cioè possono peggiorare a causa dello stress, sebbene non siano direttamente causate da esso.

Lo stress può anche contribuire all’insorgenza di condizioni come la dermatite seborroica e la rosacea, che sono sensibili agli sbalzi ormonali e allo stato emotivo. Durante periodi di stress emotivo, i sintomi di queste condizioni, come arrossamenti, prurito e desquamazione, possono diventare più evidenti.

Gli effetti dello stress sulla pelle possono essere attribuiti in parte alla risposta del sistema immunitario e all’aumento dei livelli di cortisolo nel corpo, che possono causare processi infiammatori e influenzare la funzione protettiva della pelle.

Malattie della pelle: l’impatto psicologico

Un altro elemento da considerare nel legame tra salute della pelle e stress, riguarda l’impatto che la presenza di una malattia della pelle può avere sulla persona. A seconda dei casi, potrebbero infatti manifestarsi:

  • Bassa autostima
  • Difficoltà nell’accettare l’immagine corporea
  • Ansia e depressione
  • Isolamento sociale
  • Disfunzione sessuale.

Il dolore o il disagio possono compromettere la capacità di svolgere normali attività quotidiane, mentre le frequenti visite mediche e la ricorrenza dei sintomi, che talvolta richiedono l’assenza dal lavoro, possono influenzare la qualità della vita. In aggiunta, la vergogna e l’insicurezza della persona, insieme alla preoccupazione per il giudizio degli altri, possono ostacolare la possibilità di stabilire relazioni significative con amici, familiari o partner. Infine, i pazienti con malattie cutanee croniche possono sviluppare disturbi psichiatrici aggiuntivi correlati alla loro condizione. 

Ci sono diverse malattie croniche della pelle che possono influire negativamente sul benessere psicofisico del paziente. Tra queste ci sono:

  • Acne. Si manifesta con lesioni di vario tipo su diverse aree del corpo, come volto, torace, dorso e collo. Le lesioni includono comedoni (punti neri e bianchi), papule, pustole e, nei casi più gravi, cisti e noduli. Senza un trattamento adeguato, le forme più severe possono lasciare cicatrici permanenti e macchie scure.
  • Dermatite atopica. È una malattia infiammatoria della pelle che causa prurito intenso (che può disturbare il sonno e ridurre la concentrazione a scuola o al lavoro) e arrossamento cutaneo. A causa della localizzazione della malattia in zone della pelle spesso ben visibili, la dermatite atopica ha effetto sull’autostima e sulla socialità. Infine, quando diventa cronica o quando chi ne soffre si gratta in continuazione, la pelle può ispessirsi, manifestando lichenificazione.
  • Psoriasi. È una condizione infiammatoria cronica della pelle che si manifesta con placche rilevate di colore rosso acceso, ricoperte da squame biancastre. Queste placche sono più frequenti su gomiti, ginocchia e cuoio capelluto.
  • Vitiligine. È una patologia caratterizzata dalla comparsa di chiazze bianche e opache sulla pelle esposta al sole, come mani, viso, gambe e piedi. Tale fenomeno è dovuto a un’ipopigmentazione della pelle.
  • Calvizie. Si manifesta con un progressivo arretramento della linea dell’attaccatura dei capelli, soprattutto negli uomini, solitamente a partire dalle regioni temporali. Può anche causare la perdita localizzata di capelli in alcune zone del cuoio capelluto, soprattutto al vertice.

Stress: cosa fare e come aver cura della pelle

Esistono diverse strategie utili per gestire lo stress e ridurne i potenziali effetti negativi sulla pelle. Tra queste vi sono la pratica di tecniche di rilassamento come la meditazione, lo yoga e la respirazione profonda, oltre all’adozione di uno stile di vita salutare, che include una dieta equilibrata, un adeguato riposo e un regolare esercizio fisico.

Da un punto di vista dermatologico, è essenziale seguire una corretta routine di cura della pelle, che preveda la pulizia delicata, l’idratazione e l’uso di prodotti adatti al proprio tipo di pelle. È importante anche sottoporsi a visite dermatologiche regolari per identificare i trattamenti più adatti alle condizioni cutanee legate allo stress e ricevere consigli personalizzati sulla cura della pelle.

A livello psicologico, soprattutto nei casi di evitamento sociale, particolarmente comuni negli adolescenti, può essere utile intraprendere un percorso psicologico mirato a sostenere l’autostima e migliorare il rapporto con l’immagine corporea. 

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A cura di cmaddaleni
Sclerosi multipla: Martina Absinta vince un ERC Grant per realizzare il sogno di decifrare questa malattia
Data articolo:Thu, 04 Sep 2025 10:32:59 +0000

La sclerosi multipla è una malattia infiammatoria e degenerativa che può colpire diverse parti del sistema nervoso centrale (cervello, midollo spinale, nervo ottico): comporta la perdita di mielina, ovvero la “guaina isolante” che ricopre le fibre nervose e che permette la trasmissione rapida ed efficiente degli impulsi. Si tratta di una malattia multifattoriale le cui cause sono ancora poco chiare e per la quale, sebbene non ci siano ancora cure risolutive, esistono trattamenti capaci di rallentare il decorso e ridurre gravità e frequenza degli attacchi acuti.

Individuare nuovi bersagli terapeutici in grado di controllare la progressione clinica della malattia, e comprendere quali pazienti possano trarre maggiori benefici dai diversi trattamenti, è l’obiettivo di Martina Absinta, Professoressa Associata di Neurologia presso Humanitas University e responsabile del Laboratorio di Neuropatologia Sperimentale dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas: con il progetto MiST-MS (Microglia Stress response in Multiple Sclerosis) si è aggiudicata un ERC Starting Grant 2025, uno dei finanziamenti più prestigiosi a livello internazionale per giovani scienziati. Il riconoscimento, conferito su base altamente competitiva dalla Commissione Europea, consentirà di sostenere il progetto per 5 anni con 1,5 milioni di euro.

«La sclerosi multipla è sempre stato un mio grande interesse, perché unisce due ambiti che mi affascinano sin dai tempi dell’università: l’Immunologia e le Neuroscienze – racconta Martina Absinta -. Vincere un finanziamento ERC è un’enorme soddisfazione professionale, e consentirà al mio team di portare avanti uno studio ambizioso su una malattia che in Italia riguarda oltre 144mila persone, con oltre 3.500 nuove diagnosi ogni anno».

2 linee di Ricerca e tecniche innovative per “riavvolgere il nastro” della vita cellulare

MiST-MS comprende due grandi linee di ricerca: la prima punta a comprendere quali meccanismi molecolari sono responsabili per l’invecchiamento cerebrale precoce legato all’infiammazione cronica nei pazienti con sclerosi multipla. Verranno utilizzate cellule del sangue o della pelle dei pazienti, che attraverso specifici trattamenti in vitro saranno ricondotte allo stadio di cellule staminali e successivamente portate a differenziarsi in cellule microgliali, ovvero le principali cellule immunitarie all’interno del sistema nervoso centrale, coinvolte nell’infiammazione. Grazie a questa tecnica avanzata sarà possibile studiare i meccanismi cellulari e i geni coinvolti nel processo di senescenza delle cellule cerebrali.

La seconda linea di ricerca, più concentrata sul fronte clinico, parte da un’importante osservazione effettuata recentemente dal team di Martina Absinta. Nelle persone affette da sclerosi multipla possono presentarsi diversi tipi di lesioni a carico del sistema nervoso centrale, con caratteristiche e conseguenze che differiscono a seconda della tipologia. I pazienti che nello specifico presentano lesioni croniche attive mostrano una ridotta capacità nella riparazione dei tessuti e un decorso clinico meno favorevole. Queste lesioni, identificate tramite risonanza magnetica, si presentano sotto forma di “anelli” dai bordi scuri.

Immagine di un cervello ottenuta con risonanza magnetica in una persona affetta da sclerosi multipla. In dettaglio, indicate dalle frecce rosse, le lesioni croniche attive. 
Fonte: Maggi et al., Ann Neurol 2020

L’obiettivo è comprendere in che modo queste lesioni determinino una peggiore prognosi, valutando le differenze nel comportamento di cellule gliali e neuronali di pazienti con molte lesioni croniche attive rispetto a pazienti che non ne abbiano.  

Inizialmente non esistevano modi per distinguere, tramite risonanza magnetica, le lesioni cronicamente attive dalle altre: questo significava che non c’era modo di identificare precocemente i pazienti più a rischio di un peggioramento clinico e disabilità. «Nel 2012, presso i National Health Institutes negli Stati Uniti, utilizzavo risonanze ad alto campo magnetico (7 tesla) che consentivano di ottenere immagini di eccezionale dettaglio. Già dalle immagini del primo paziente, notai che alcune lesioni avevano un “orletto” scuro, mentre altre no. Pensai che se le lesioni con questa caratteristica corrispondessero alle lesioni cronicamente attive che fino a quel momento potevamo identificare solo tramite autopsia, avremmo avuto in mano un marcatore per distinguere precocemente i pazienti con queste lesioni dagli altri. E così è stato – spiega Martina Absinta -. Ho dedicato tutto il decennio successivo alla Ricerca su questo aspetto, che oggi è ampiamente studiato anche da molti altri neurologi e ricercatori, tanto da aver raggiunto un consenso internazionale. Questo marcatore è stato recentemente incluso anche nei criteri diagnostici per la sclerosi multipla». La speranza è di riuscire, così, a personalizzare sempre più le terapie, aumentandone l’efficacia.

L’ERC Starting Grant assegnato a Martina Absinta si affianca ad altri tre finanziamenti attualmente ERC attivi in Humanitas: l’ERC Advanced vinto nel 2022 da Michela Matteoli, Direttrice del Programma di Neuroscienze di Humanitas e Professoressa Ordinaria di Humanitas University, l’ERC Starting Grant 2021 conseguito da Simona Lodato, Professoressa Associata di Humanitas University e responsabile del Laboratorio di Neurosviluppo dell’Istituto Clinico Humanitas, e l’ERC Starting Grant 2024 ottenuto da Carolina Greco, Professoressa Associata di Humanitas University e responsabile del Laboratorio di Metabolismo Circadiano dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas. In totale, dal 2009, sono 9 i finanziamenti ERC assegnati alla Ricerca di Humanitas.

Chi è Martina Absinta

Laureata in medicina e specializzata in neurologia all’Università Vita-Salute San Raffaele, nel 2016 presso lo stesso ateneo Martina Absinta ha conseguito un dottorato di ricerca internazionale in Medicina Molecolare. Il suo lavoro di ricerca è stato condotto presso i National Institutes of Health (NIH, USA) tra il 2012 e 2018. Successivamente è stata Assistant Professor of Neurology alla Johns Hopkins University, USA (2018–2021) e poi responsabile dell’Unità di Neuropatologia Traslazionale all’IRCCS San Raffaele (2022–2024). Oggi è Professoressa Associata di Neurologia presso Humanitas University e responsabile del Laboratorio di Neuropatologia Sperimentale dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.

Ha ricevuto finanziamenti da istituzioni nazionali e internazionali, tra cui la National MS Society, l’International Progressive MS Alliance, la Hilton Foundation, la Fondazione Regionale Ricerca Biomedica (FRRB), la Fondazione Cariplo e la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM/AISM). I suoi studi sono stati pubblicati in riviste scientifiche importanti come Nature e hanno contribuito a identificare nuovi biomarcatori di imaging e a sottolineare l’importanza dell’infiammazione cronica nel sistema nervoso centrale per la progressione di malattia.

Grazie all’ERC Starting Grant, il laboratorio di Martina Absinta potrà lavorare per tradurre anni di Ricerca in strumenti potenzialmente utili per la pratica clinica, aprendo nuove strade diagnostiche e lo sviluppo di terapie mirate contro la sclerosi multipla.

ERC, il finanziamento europeo più ambito: oltre 4000 progetti presentati

L’European Research Council (ERC) mette a disposizione quattro linee di finanziamento altamente competitive: Starting, Consolidator, Advanced e Synergy Grants, ciascuna pensata per diverse fasi della carriera scientifica. A queste si affianca il programma Proof of Concept, che sostiene i beneficiari di un grant ERC nello sviluppo del potenziale innovativo dei loro risultati, accompagnandoli verso possibili applicazioni pratiche.

L’ERC Starting Grant è rivolto a ricercatrici e ricercatori promettenti all’inizio della loro carriera indipendente. Si tratta di un bando estremamente selettivo: per la call 2025 sono state presentate quasi 4.000 domande, di cui circa il 28% provenienti dal settore delle Scienze della Vita, con un tasso di successo atteso intorno al 12%.

Ottenere un ERC non rappresenta solo un riconoscimento dell’eccellenza scientifica: significa anche accedere a risorse cruciali per costruire o accrescere il proprio gruppo di Ricerca, attrarre collaborazioni internazionali e generare un impatto concreto nel mondo della scienza e della medicina.

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A cura di cmaddaleni
Prevenzione dei tumori testa-collo: torna la Make Sense Campaign
Data articolo:Tue, 02 Sep 2025 10:48:06 +0000

Torna a settembre 2025 la Make Sense Campaign, campagna annuale per la prevenzione e diagnosi dei tumori del distretto testa-collo, condotta dalla European Head & Neck Society (EHNS) e promossa in Italia dall’Associazione Italiana di Oncologia Cervico Cefalica (AIOCC).

Un evento a cui l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano partecipa offrendo cinque giornate di screening gratuito, da lunedì 15 settembre 2025 a giovedì 18 settembre 2025 dalle 18.00 alle 19.00 e venerdì 19 settembre dalle 16.00 alle 17.00. Per accedere allo screening è necessaria la prenotazione, compilando il form a questo link.

I tumori testa-collo includono tutti quelli insorti in questi distretti (a eccezione di cervello e occhi) e fanno parte di una classe di neoplasie particolarmente comune: il settimo cancro per incidenza europea che rappresenta il 20% circa di tutte le neoplasie maligne nel sesso maschile oltre i 40 anni, ma risulta in crescita anche tra donne e pazienti più giovani. Ogni anno, solo in Italia, i tumori della testa e del collo colpiscono circa 10.000 pazienti.

“1per3”, questo il claim per il 2025 della Make Sense Campaign Italia. Un chiaro riferimento alla durata dei sintomi caratteristici dei tumori testa-collo (dolore alla gola, dolore alla lingua, ulcere e/o macchie rosse o bianche in bocca, raucedine persistente, dolore e/o difficoltà a deglutire, gonfiore del collo, naso chiuso da un lato e/o perdita di sangue dal naso), che spesso vengono scambiati per manifestazioni di disturbi stagionali come il raffreddore, ma che se persistono oltre tre settimane non devono essere sottovalutati e posti all’attenzione del medico curante. Quando si parla di tumori della testa e del collo, infatti, la diagnosi precoce è un fattore fondamentale per la sopravvivenza dei pazienti: quando vengono diagnosticati in tempo, infatti, i tumori testa-collo hanno un tasso di remissione tra l’80 e il 90%: una percentuale particolarmente alta che tuttavia ha un drammatico calo quando la diagnosi avviene su una patologia in fase avanzata, che aumenta il tasso di mortalità al 60%.

Tumori della testa e del collo: quali sono i fattori di rischio?

Come spiegano il professor Paolo Bossi, Capo Sezione Autonoma di Oncologia Medica dei tumori testa-collo e dei tumori della pelle (spinocellulari e basocellulari) e il professor Giuseppe Mercante, Direttore della Scuola di Specializzazione di Otorinolaringoiatria e docente di Humanitas University, i due principali fattori che concorrono al rischio di sviluppare tumori del distretto testa-collo sono il fumo e l’alcol, responsabili di circa il 75% delle incidenze della patologia.

Altri fattori di rischio sono rappresentati da una cattiva igiene orale (sono infatti considerati fattori di rischio anche i traumi persistenti nel tempo dei denti sulle mucose del cavo orale e della lingua) e da un insufficiente consumo di frutta e verdura. Quando si informa la cittadinanza sulla prevenzione per questo tipo di neoplasie, pertanto, è molto importante porre l’accento sull’importanza di impostare uno stile di vita equilibrato, caratterizzato da un’alimentazione sana e una vita attiva.

L’infezione da HPV

Inoltre, per alcuni tipi di tumori testa-collo è un fattore di rischio l’infezione da Papilloma Virus Umano (HPV). L’HPV è un virus molto diffuso, che interessa la maggior parte delle persone nel corso della vita e che infetta soprattutto la mucosa degli organi genitali, della bocca e della gola. Alcune tipologie di HPV possono portare all’insorgenza di tumori, tra cui anche quelli dell’orofaringe, cioè delle tonsille e della base della lingua.

L’incidenza di tumori testa collo conseguenti a un’infezione HPV è in crescita, al punto che i tumori legati a HPV hanno superato quelli della cervice uterina. A essere interessati da questi tumori sono i pazienti più giovani, generalmente con un buono stato di salute. Da recenti ricerche, risulta che questo possa essere associato ai comportamenti sessuali: l’HPV è infatti un virus che si trasmette facilmente e principalmente per via sessuale.

I vaccini contro l’HPV attualmente a disposizione sono fondamentali anche per prevenire l’insorgenza di tumori testa collo. In Italia la vaccinazione è gratuita e consigliata per le ragazze e i ragazzi a partire dagli 11 anni di età.

Ulcere, dolore alla gola e raucedine: i sintomi dei tumori testa-collo

Diffondere una corretta informazione sui tumori testa-collo è importante, poiché la sintomatologia con cui si manifestano può essere facilmente scambiata per quella corrispondente a un raffreddamento o a semplici malesseri passeggeri.

Occorre dunque non sottovalutare quei sintomi che, come abbiamo detto, persistono per oltre tre settimane, tra i quali figurano:

  • ulcere e/o macchie rosse o bianche in bocca,
  • dolore alla gola sia a riposo sia durante la deglutizione,
  • dolore alla lingua,
  • raucedine,
  • sensazione di avere un corpo estraneo in gola,
  • respirazione faticosa,
  • sanguinamenti del cavo orale ed epistassi,
  • naso chiuso continuativamente e sempre dalla stessa narice,
  • noduli sul collo.

I pazienti che dovessero riscontrare la presenza di uno o più di questi sintomi per oltre tre settimane devono dunque contattare tempestivamente il loro medico di medicina generale e approfondire la sintomatologia.

Tumori testa-collo: in Humanitas l’approccio è multidisciplinare

Presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano la presa in carico dei pazienti con tumori testa collo è multidisciplinare, con gli specialisti dell’Oncologia Medica dei tumori testa-collo e dei tumori della pelle spinocellulari e basocellulari, guidati dal professor Paolo Bossi, che lavorano con gli specialisti dell’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria, guidata dal professor Giuseppe Spriano, e con l’Unità Operativa di Radioterapia e Radiochirurgia, guidata dalla professoressa Marta Scorsetti. Fondamentale anche la collaborazione con le Unità Operative di Radiologia Diagnostica, guidata dal professor Andrea Laghi, Medicina Nucleare, guidata dal dottor Marcello Rodari, e di Anatomia Patologica, guidata dalla professoressa Silvia Uccella.

Un’associazione a supporto delle donne

L’associazione di volontariato Le Perle di Lunia, la cui co-fondatrice e presidentessa è la dottoressa Caterina Giannitto, radiologa esperta del programma testa-collo in Humanitas, promuove la prevenzione nell’ambito dei tumori testa-collo e a supporto delle donne che si trovano ad affrontare una diagnosi.

Mercoledì 17 settembre 2025 dalle ore 15:00 alle ore 18:00, presso la sala E del Building 8 dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, si terrà l’evento Make Your Mark To Make Sense Campaign, alla sua seconda edizione, con il titolo Prevenzione, Resilienza e Speranza: Un incontro con i pazienti del Tumore Testa-Collo di Humanitas. 

Curato dalle dottoresse Caterina Giannitto e Cristina Gurizzan, oncologa presso Humanitas, l’evento prevede uno spazio di confronto diretto tra pazienti e professionisti, grazie alla possibilità di sostenere brevi incontri individuali, durante i quali gli specialisti saranno a disposizione per dialogare in un contesto informale e inclusivo. L’evento vedrà inoltre la presentazione delle iniziative da sviluppare insieme nel corso dell’anno, con l’obiettivo di rafforzare la rete e promuovere una crescente consapevolezza ed empowerment per i pazienti. Alla conclusione dell’evento è previsto un aperitivo, durante il quale i partecipanti potranno continuare a condividere le loro esperienze, rafforzando i legami all’interno della comunità. Per partecipare, è necessario iscriversi:

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A cura di mmaestri
Sclerodermia: Humanitas partecipa alla Giornata del ciclamino con visite gratuite
Data articolo:Mon, 25 Aug 2025 08:51:47 +0000

La “Giornata del Ciclamino” di Humanitas è un evento annuale dedicato alla sensibilizzazione sulla sclerodermia, una malattia autoimmune. L’evento, che si terrà giovedì 18 settembre 2025, offrirà visite reumatologiche gratuite, con particolare attenzione alla capillaroscopia, un esame che permette di valutare lo stato dei capillari e che può aiutare nella diagnosi precoce della malattia.

Anche Humanitas aderisce alla Giornata del ciclamino del 18 settembre 2025, un importante appuntamento di sensibilizzazione sulla sclerodermia e un’occasione per sostenere il Gruppo Italiano Lotta alla Sclerodermia (GILS), che da oltre trent’anni si occupa di informare sulla prevenzione alla sclerosi sistemica e sull’importanza della diagnosi precoce per l’efficace trattamento della patologia, fornendo un’opportunità per controlli gratuiti, specialmente per coloro che potrebbero essere a rischio o presentare i primi sintomi.

Nella giornata di giovedì 18 settembre, dalle 10.30 alle 13.00 presso il Building 4 dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano sarà infatti possibile effettuare una visita reumatologica gratuita, con la possibilità di effettuare una capillaroscopia, un esame non invasivo che permette di controllare i capillari (piccoli vasi sanguigni) della pelle in superficie, per intercettare eventuali primi sintomi della malattia. Per partecipare è necessario prenotarsi tramite l’evento dedicato; per consultare le disponibilità e prenotare una visita gratuita, clicca qui.

Inoltre è possibile sostenere GILS e la Ricerca partecipando alla raccolta fondi organizzata nelle principali piazze italiane, acquistando i ciclamini con una libera offerta. Per informazioni, consultare il sito a questo link.

Cos’è la sclerodermia?

La sclerodermia (sclerosi sistemica) è una patologia cronica poco frequente, che interessa prevalentemente il sesso femminile e che impatta in modo significativo sulla qualità di vita delle persone che ne sono colpite.

Si tratta di una malattia immunomediata che vede la compresenza di anomalie del sistema immunitario e di alterazioni del distretto vascolare, con conseguente e progressivo sviluppo di fibrosi. Nella maggior parte dei casi, la malattia si manifesta in fase iniziale con il fenomeno di Raynaud, caratterizzato da un eccessivo e anomalo restringimento dei piccoli vasi sanguigni (capillari o arteriole) nelle zone periferiche del corpo, come mani e piedi e, più raramente, naso, labbra e orecchie.

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A cura di cmaddaleni
Chi può prescrivere i farmaci contro l’obesità?
Data articolo:Thu, 14 Aug 2025 07:56:45 +0000

L’obesità è una patologia cronica, progressiva e recidivante e per tale motivo deve essere seguita e trattata in maniera continua, teoricamente per tutta la vita; necessita l’intervento combinato su alimentazione, stile di vita ed esercizio fisico. È possibile, in alcuni casi, associare a questi interventi anche una terapia farmacologica con diversi farmaci, tra cui gli agonisti del recettore GLP-1 e i dual-agonist (GLP-1/GIP-RA) e altri farmaci quali bupropione e naltrexone. Esistono forme rare di obesità in cui il trattamento farmacologico avviene con setmelanotide e/o metreleptina.

Bisogna però considerare che i farmaci, da soli, non possono essere efficaci per affrontare la malattia. Le terapie farmacologiche per l’obesità non vanno quindi interpretate come una soluzione rapida per perdere peso, ma come un elemento all’interno di una strategia globale di intervento sulla patologia. Tant’è vero che alcuni di questi farmaci si dimostrano particolarmente efficaci nel curare alcune patologie che caratterizzano l’obesità quali l’OSAS, lo scompenso cardiaco, la patologia ischemica miocardica, l’osteoartrite e la steatosi epatica (MASH).

Ne parliamo con il professor Roberto Vettor, direttore scientifico del Centro Malattie del Metabolismo e della Nutrizione dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano.

I farmaci contro l’obesità

La terapia farmacologica dell’obesità e delle sue complicanze rappresenta una rivoluzione terapeutica. I farmaci agonisti del recettore del GLP-1 e i cosiddetti dual-agonist diretti verso il recettore del GLP-1 e del GIP sono particolarmente efficaci.

I farmaci al momento disponibili sono:

  • Orlistat: bloccando l’azione della lipasi pancreatica, diminuisce la digestione e l’assorbimento dei trigliceridi 
  • Semaglutide: come coadiuvante della dieta e nell’esercizio fisico in persone adulte con obesità o sovrappeso e in caso di malattia cardiovascolare associata a entrambe le condizioni.
  • Liraglutide: per la gestione cronica del peso in aggiunta alla dieta e all’esercizio fisico nelle persone adulte con obesità o sovrappeso, in presenza di condizioni come ipertensione, dislipidemia, diabete di tipo 2.
  • Tirzepatide: come coadiuvante di una dieta ipocalorica e di attività fisica nella gestione cronica del peso nelle persone con obesità o sovrappeso in presenza di ipertensione, dislipidemia, diabete di tipo 2, OSAS o malattie cardiovascolari.
  • Setmelanotide: per la terapia dell’obesità causata da alterazioni genetiche riguardanti il gene della proopiomelanocortina (POMC), della proproteina convertasi subtilisina/kexina di tipo 1 (PCSK1), e del recettore della leptina [LEPR]).
  • Bupropione e naltrexone: con azione sinergica e combinata dei due farmaci.
  • Metreleptina: che normalmente viene utilizzata per il deficit di leptina o per le lipodistrofie.

Perché è importante farsi seguire da uno specialista

L’obesità richiede un intervento multidisciplinare, ed è fondamentale che il team di specialisti coinvolti sia esperto nella gestione di questa patologia. Anche la prescrizione di terapie farmacologiche deve rispettare le linee guida delle società scientifiche ed essere personalizzata in base alle specifiche esigenze di ciascun paziente. 

Un esperto in medicina dell’obesità può individuare il trattamento più efficace, informare il paziente sugli eventuali effetti collaterali e valutare il dosaggio più adeguato, regolando la terapia in funzione delle esigenze cliniche. Poiché si tratta di un trattamento a lungo termine, le esigenze possono variare nel tempo. La perdita di massa magra, l’insorgenza di effetti collaterali gastrointestinali o di altra natura devono sempre essere monitorate e valutate dal professionista, al fine di garantire un approccio sicuro ed efficace.


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A cura di Maddalena Costa
Il dolore a mano e polso quando si usa il telefono
Data articolo:Wed, 13 Aug 2025 08:50:03 +0000

Smartphone, tablet, computer sono ogni giorno nelle nostre mani, per molte ore. L’utilizzo continuativo e prolungato di questi dispositivi può favorire l’insorgenza di disturbi a carico di tendini, muscoli, articolazioni e nervi localizzati in mani, polsi e gomiti, causando dolore e fastidi persistenti, anche in giovane età. 

Ne parliamo con il dottor Giorgio Pivato, Responsabile di Chirurgia della Mano e Microchirurgia Ricostruttiva dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano. 

Le cause del dolore

L’uso costante di smartphone, tablet o computer può diventare causa di dolori simili a crampi che interessano dita, polsi e avambracci. Questo accade perché i movimenti ripetitivi o le posture mantenute a lungo sollecitano in maniera continuativa determinate strutture anatomiche determinando un quadro da sovraccarico. Per descrivere alcune di queste patologie si sono diffusi anche nuovi termini, che identificano varianti di patologie già esistenti: è il caso del Blackberry thumb, della textitis e del cell phone elbow. Altre patologie invece sono ben note da tempo, come ad esempio la sindrome del tunnel carpale, che rimane una delle patologie di più frequente riscontro.

Il dolore al pollice

Il cosiddetto Blackberry thumb, conosciuto anche come “pollice da smartphone”, è una variante del dito a scatto, una condizione infiammatoria che coinvolge il tendine flessore lungo del pollice. L’origine di questa patologia è legata alla digitazione frequente, in particolare con i pollici, sul telefono. 

Si manifesta con dolore, rigidità e limitazione nei movimenti del pollice. Nei casi più leggeri, il trattamento può prevedere l’uso di antinfiammatori o analgesici. Quando però l’infiammazione diventa cronica o invalidante, si può rendere necessario un trattamento infiltrativo con corticosteroidi e solo in caso di fallimento può rendersi necessario un intervento chirurgico per ripristinare il corretto funzionamento del dito. 

L’artrite alla mano

Il termine textitis è stato ideato dal medico texano Mark Ciaglia ed è il risultato della combinazione tra “text”, ovvero messaggio, e “arthritis”, che significa artrite. Questa patologia si riferisce a una infiammazione articolare che può colpire anche persone giovani, causata dalla digitazione ripetitiva su tastiere di smartphone o tablet. Di norma, l’artrosi colpisce in età avanzata, a causa dell’usura progressiva della cartilagine articolare.

Lo stress meccanico continuo può favorirne l’insorgenza anche nei più giovani. I trattamenti possono prevedere farmaci, fisioterapia e, in alcuni casi, l’uso di tutori per limitare il movimento e ridurre lo sforzo articolare. 

Dolore al polso e sindrome del tunnel carpale

Questa patologia, già da tempo associata all’uso del mouse con l’espressione “mal di mouse”, interessa il polso e si presenta con formicolio, in particolare durante la notte, alle prime quattro dita della mano (pollice, indice, medio e lato interno dell’anulare). 

Il disturbo è provocato dalla compressione del nervo mediano nel passaggio attraverso il tunnel carpale, una struttura osteo-legamentosa situata nel polso. Il mantenimento prolungato della stessa posizione, come accade impugnando un telefono o utilizzando un mouse, può ridurre l’apporto vascolare al nervo e generare i sintomi tipici. Il trattamento prevede una prima fase conservativa, con l’impiego di antinfiammatori. Quando i sintomi persistono o si aggravano, si può ricorrere all’intervento chirurgico mininvasivo con tecnica endoscopica, che consente di decomprimere il nervo e risolvere la sintomatologia.

Dolore al gomito e sindrome del canale cubitale

Simile alla sindrome del tunnel carpale, il Cell Phone Elbow, o gomito da cellulare, è una neuropatia periferica meglio conosciuta come sindrome del canale cubitale. A causarla è la flessione prolungata del gomito, che può comprimere il nervo ulnare, responsabile dell’innervazione del lato esterno dell’anulare e del mignolo. 

Questa compressione provoca spesso formicolii localizzati all’anulare e al mignolo e può determinare anche debolezza nel braccio, rendendo difficile afferrare o sollevare oggetti pesanti. Le posture mantenute a lungo, come tenere il cellulare all’orecchio o lavorare al computer, possono facilitare l’insorgenza dei sintomi. Il trattamento, in fase iniziale, si basa su strategie conservative: modificare le abitudini posturali, evitare posizioni prolungate e ricorrere a tutori specifici possono risolvere la sintomatologia. 

Come prevenire il dolore?

Per ridurre il rischio di sviluppare questi disturbi muscoloscheletrici legati all’uso eccessivo di dispositivi elettronici, è importante adottare comportamenti corretti e prestare attenzione alla postura e alla frequenza d’uso.

Il consiglio principale è quello di limitare il tempo trascorso a digitare messaggi, affidandosi alla dettatura vocale o ai messaggi audio. È utile anche prendersi delle pause regolari per riposare le mani e variare le attività. 

Scrivere usando entrambe le mani, praticare semplici esercizi di stretching per le dita e i polsi e scegliere tastiere touchscreen piuttosto che quelle fisiche sono accorgimenti che possono ridurre il carico sulle articolazioni e prevenire l’insorgenza del dolore.

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A cura di mmaestri
Cibi ultraprocessati: cosa sono e perché consumarli con attenzione
Data articolo:Fri, 08 Aug 2025 10:23:24 +0000

L’obesità è un disturbo in continua crescita, anche tra i bambini e i giovani, che si associa all’insorgenza di sindrome metabolica, diabete di tipo 2, patologie gastrointestinali e cardiovascolari e altri disturbi severi. A favorire l’aumento dell’obesità e il rischio di insorgenza di patologie severe è l’abitudine a consumare i cosiddetti cibi ultraprocessati (dall’inglese ultra-processed foods, definizione che compare per la prima volta all’interno del NOVA food classification system dell’Università di San Paolo – Brasile), come bevande gassate e zuccherine, piatti già pronti da riscaldare in pochi minuti al forno a microonde, dolciumi e prodotti da forno in busta. I cibi ultraprocessati, ormai diffusissimi a livello globale, sono entrati in pianta stabile nella dieta quotidiana di molte persone.

Cosa sono i cibi ultraprocessati e perché sono dannosi per la salute? 

Ne parliamo con la dottoressa Michela Seniga, nutrizionista presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e i centri medici Humanitas Medical Care.

Alimenti: non processati, processati o ultraprocessati

Secondo la categorizzazione proposta dai ricercatori dell’Università di San Paolo, gli alimenti si suddividono in quattro categorie distinte: cibi non processati (o minimamente processati), ingredienti processati, cibi processati e cibi ultraprocessati. 

Tra i cibi non processati rientrano alimenti come verdura, frutta, legumi, frutta secca, carne, pesce, uova, latte, yogurt, riso, pasta, farine, caffè, tè, semi, erbe e spezie. Si tratta di alimenti che non sono stati alterati attraverso l’aggiunta di ingredienti esterni, mantenendo così le loro caratteristiche originali. 

Gli ingredienti processati sono quegli ingredienti comunemente usati per condire, conservare o modificare il gusto degli alimenti non processati che prepariamo, come olio, sale, aceto, burro e zucchero. 

I cibi processati sono invece il risultato della combinazione dei due gruppi precedenti e rappresentano alimenti molto diffusi nel consumo quotidiano, quali pane e prodotti da forno, la maggior parte dei formaggi, insaccati, legumi in lattina e sottaceti.

Infine, arriviamo all’ultima categoria: gli alimenti ultraprocessati. Questi alimenti hanno subito un processo di produzione industriale molto radicale, caratterizzato dall’aggiunta di additivi alimentari e sostanze utili a esaltare il gusto, la dolcezza o la morbidezza del prodotto, come fruttosio, oli idrogenati, coloranti ed emulsionanti. Si tratta quindi di dolciumi industriali, caramelle, gelati, yogurt aromatizzati, cibi a base di carne come hot-dog o bocconcini di pollo fritto, ma anche alimenti vegani come alcuni sostituti della carne o dei formaggi, oltre a zuppe e paste istantanee, pane in cassetta, patatine fritte, cereali lavorati e bevande gassate o energetiche.

I cibi ultraprocessati sono pericolosi per la salute?

All’interno di quelli che definiamo cibi ultraprocessati sono presenti, oltre agli additivi, livelli più elevati di sale, zuccheri e grassi saturi rispetto alle altre categorie di alimenti, che concorrono con altri fattori di rischio all’insorgenza di patologie e disturbi come l’obesità, la sindrome metabolica, il diabete, la pressione alta e le malattie cardiovascolari. Il rischio si evidenzia in particolare quando l’assunzione di cibi ultraprocessati avviene in quantità elevate e continuative ed è combinata all’abuso di alcolici, al fumo di sigaretta e a uno stile di vita poco salutare e sedentario.

Per evitare l’insorgenza di disturbi è importante mantenere un’alimentazione bilanciata, in cui i cibi ultraprocessati sono presenti soltanto in minima parte e al contrario ricca di vegetali, frutta, cereali e legumi. In generale, la dieta consigliata è quello mediterranea, in cui molti piatti prevedono l’utilizzo di questi alimenti. Inoltre, quando si scelgono e consumano cibi ultraprocessati è bene prestare attenzione anche alla loro composizione: il pane in cassetta, per esempio, contiene meno grassi e calorie delle patatine fritte.

Come diminuire l’apporto di cibi ultraprocessati?

I cibi ultraprocessati, in alcuni casi, possono erroneamente sembrare la scelta più comoda e veloce, ma seguendo alcuni semplici accorgimenti in cucina è possibile diminuirne il consumo. A colazione, per esempio, si possono sostituire gli yogurt aromatizzati con yogurt normale o magro a cui aggiungere frutta fresca tagliata a pezzetti e frutta secca, così come i cereali zuccherati possono essere sostituiti da avena al naturale a cui aggiungere anche in questo caso frutta fresca e frutta secca.
Per evitare il consumo di zuppe e cibi pronti può essere utile preparare i propri piatti in quantità maggiori, da congelare e scongelare al bisogno quando si ha poco tempo per cucinare. Infine, quando si sente la necessità di uno spuntino tra i pasti, invece di ricorrere a dolciumi confezionati, patatine o salatini, il consiglio è sempre quello di consumare un frutto fresco o una porzione di frutta secca.

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A cura di mmaestri


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