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News Ospedale Humanitas di Rozzano(Milano)

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Ci sono rimedi efficaci contro la tosse?
Data articolo:Wed, 26 Nov 2025 14:13:24 +0000

La tosse è un riflesso fondamentale dell’organismo, con una funzione di protezione delle vie respiratorie. Si attiva quando vengono stimolati i recettori della tosse, cellule nervose presenti lungo l’albero bronchiale, nella laringe, nella trachea e anche in altre strutture della gabbia toracica. Il suo obiettivo è eliminare sostanze irritanti, muco o agenti infettivi e rappresenta quindi un campanello d’allarme per condizioni che potrebbero danneggiare il sistema respiratorio.

Quali sono le cause della tosse e quali i rimedi? Ne parliamo con il professor Stefano Aliberti, Responsabile dell’Unità Operativa di Pneumologia I presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e Professore Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio di Humanitas University.

Cause e complicanze della tosse

La tosse può avere numerose cause, poiché molte patologie – non solo delle vie respiratorie – possono manifestarsi attraverso questo sintomo. Tra le cause più comuni troviamo infezioni respiratorie acute (come raffreddore, influenza o polmonite), asma bronchiale, bronchite cronica, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), bronchiectasie, reflusso gastroesofageo, sinusite cronica con gocciolamento retronasale, esposizione ad allergeni o irritanti ambientali. Anche alcune condizioni non patologiche, come l’aria molto secca o l’esposizione a sostanze irritanti, possono scatenare la tosse.

Esistono inoltre cause iatrogene, cioè dovute a farmaci. Un esempio frequente è la tosse provocata dagli ACE-inibitori, utilizzati per il trattamento dell’ipertensione arteriosa.

La tosse può associarsi a diverse complicanze. Le più comuni sono l’insonnia, soprattutto se la tosse peggiora nelle ore notturne, e l’incontinenza urinaria, in particolare nelle donne. Può anche causare dolore toracico e, nei casi più intensi e prolungati, portare a fratture costali. In età pediatrica, nelle forme persistenti, la tosse può influire temporaneamente sull’alimentazione e sulla crescita.

La tosse peggiora di notte?

La tosse tende spesso a peggiorare durante la notte, quando ci si trova in posizione distesa. Ciò accade per diversi motivi: il muco può spostarsi dalle basse vie aeree verso zone più centrali, stimolando maggiormente i recettori della tosse; il reflusso gastroesofageo aumenta in posizione supina e può a sua volta irritare le vie aeree. Anche la presenza di allergeni nella stanza da letto, come la polvere, oppure un ambiente troppo secco o troppo umido, può peggiorare la sintomatologia.

I rimedi contro la tosse

Per trattare la tosse è fondamentale identificarne la causa. Solo così è possibile adottare terapie specifiche e realmente efficaci. I farmaci sedativi della tosse disponibili senza ricetta possono essere utilizzati solo per brevi periodi e in situazioni particolari (per esempio quando la tosse impedisce il sonno o ha un impatto sociale significativo), ma non sostituiscono la valutazione medica, soprattutto se il sintomo persiste.

È importante rivolgersi allo pneumologo che coordina un team multidisciplinare costituito da altri specialisti: il gastroenterologo se si sospetta un reflusso gastroesofageo, oppure l’otorinolaringoiatra in caso di sinusite cronica o gocciolamento retronasale.

Cos’è nello specifico la tosse cronica?

La tosse cronica è definita come una tosse persistente per più di 8 settimane. Spesso si associa a malattie respiratorie croniche come asma, bronchite cronica, BPCO o bronchiectasie. Può però anche dipendere da cause non respiratorie, come reflusso gastroesofageo o patologie delle alte vie aeree (per esempio sinusite cronica o rinosinusite allergica).

La diagnosi richiede spesso alcune indagini, come radiografia del torace, spirometria e, quando indicato, esami approfonditi delle alte vie aeree o valutazioni gastroenterologiche. L’unico modo efficace per trattare la tosse cronica è identificarne la causa e intervenire su di essa. L’uso di sedativi della tosse senza aver prima definito la patologia sottostante può fornire un sollievo temporaneo, ma non risolve il problema e può ritardare una diagnosi corretta.

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A cura di mmaestri
Contrattura muscolare: i sintomi e i rimedi
Data articolo:Wed, 26 Nov 2025 13:34:54 +0000

Quando si parla di contrattura muscolare si fa riferimento a un dolore localizzato a livello di un muscolo che fatica a rilasciarsi. La contrattura non è associata a una lesione del muscolo, bensì a un accumulo di metaboliti tossici legati a un affaticamento. I sintomi che provoca, però, possono essere fastidiosi, con tensione e rigidità o, in alcuni casi, persino dolorosi.

Ne parliamo con il professor Alessio Baricich, Responsabile del Dipartimento di Riabilitazione e Recupero funzionale presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Contrattura muscolare: da cosa è provocata?

La contrattura muscolare è la risposta dell’organismo a una sollecitazione muscolare eccessiva o a un movimento scorretto dell’articolazione.

Una contrattura muscolare può essere legata a varie cause. Tra le più comuni, per esempio, ci sono problemi posturali e posture non corrette mantenute per un periodo di tempo abbastanza lungo, come il dolore al collo che insorge quando si dorme con cuscini diversi da quelli utilizzati abitualmente. Le contratture possono poi essere provocate da un eccesso di attività fisica o di sport, interessando le braccia o le gambe in base all’attività svolta, o ancora da movimenti improvvisi e bruschi.

Altre cause di contrattura muscolare sono poi la mancanza di un adeguato riscaldamento prima dell’attività sportiva, la sedentarietà, lo stress e i trattamenti chirurgici.

I sintomi della contrattura muscolare

Le contratture muscolari sono caratterizzate da una sensazione di tensione e rigidità dell’area interessata. Spesso la contrattura provoca anche dolore e, in alcuni casi, la difficoltà a usare il muscolo contratto con una limitazione funzionale del movimento.

Quali sono i rimedi per la contrattura muscolare

In presenza di dolore si deve limitare l’attività fisica: i sintomi della contrattura, infatti, nelle fasi iniziali del disturbo sono simili a quelli associati a lesioni muscolari più importanti. Al riposo, che può essere in base alla gravità dei sintomi di qualche ora o di qualche giorno (dai 3 ai 7), può essere utile associare una terapia con farmaci antidolorifici e miorilassanti, che aiutano a rilasciare la muscolatura e possono essere utili a controllare i sintomi dolorosi. In caso di contratture più gravi o di persone che hanno necessità di un recupero più veloce, possono essere eseguiti trattamenti manipolativi, massoterapia decontratturante o terapie fisiche a rilascio di calore (laser, tecarterapia).

Se le contratture si ripresentano in modo recidivante o cronico e sono associate a problemi posturali può essere inoltre necessario il trattamento fisioterapico.

Per evitare l’insorgenza di una contrattura muscolare, è sempre consigliato avere uno stile di vita attivo e non sedentario e mantenere una buona postura. Chi pratica attività sportiva, inoltre, deve scegliere attività adatte alla propria condizione e preparazione fisica e fare riscaldamento e stretching adeguati, in modo da non rischiare l’esecuzione di movimenti bruschi a freddo.

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A cura di mmaestri
Asma: i sintomi e cosa fare in caso di un attacco
Data articolo:Wed, 26 Nov 2025 10:20:26 +0000

L’asma è una malattia infiammatoria delle vie respiratorie caratterizzata da un’iperattività dei bronchi, che può portare allo sviluppo di crisi acute. Queste crisi si manifestano con sintomi quali difficoltà respiratorie, oppressione toracica, respiro sibilante e tosse secca. Si tratta di una condizione cronica, che, se non diagnosticata e adeguatamente trattata, può compromettere significativamente la qualità della vita.

L’asma può manifestarsi a causa di stimoli di natura allergica, fisica o immunologica e può aggravarsi in presenza di patologie concomitanti tra le quali la rinosinusite cronica, la rinite e il reflusso gastroesofageo.

Quando l’asma non risponde adeguatamente a livelli molto elevati di terapia inalatoria, si parla di asma grave. Questa condizione si caratterizza per crisi asmatiche frequenti e di notevole entità, che spesso richiedono l’impiego di terapia cortisonica sistemica e, frequentemente, il ricovero in pronto soccorso.

Come si riconosce una crisi asmatica? E come si può intervenire? Ne parliamo con il professor Enrico Heffler, responsabile del Centro di Medicina Personalizzata: Asma e Allergologia, presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Cosa succede durante un attacco d’asma?

In condizioni normali, l’aria passa attraverso i bronchi incontrando unicamente la resistenza fisiologica delle pareti bronchiali: lo stesso avviene anche in persone affette da asma, quando adeguatamente trattate.

In presenza di asma non trattata o non sufficientemente controllata, invece, l’infiammazione che caratterizza la malattia induce le cellule muscolari che contornano le pareti dei bronchi a contrarsi, determinando quello che viene definito “broncospasmo”, ossia una vera e propria chiusura delle vie aeree.

Inoltre, l’infiammazione stessa determina un’eccessiva produzione di muco che, in alcuni casi, può creare veri e propri tappi nei bronchi. Tutto ciò comporta una riduzione dello spazio che l’aria ha a disposizione per scorrere normalmente, con lo sviluppo dei sintomi caratteristici della patologia. Durante un attacco d’asma (la cosiddetta “esacerbazione”), inoltre, queste condizioni si verificano improvvisamente e la persona avverte una sensazione di mancanza di respiro.

Quali sono i sintomi di un attacco d’asma?

I sintomi caratteristici dell’asma sono:

Nella maggior parte dei casi, la persona è anche affetta da malattie delle alte vie aeree, come rinosinusite cronica e/o rinite, solitamente di natura allergica.

I sintomi dell’asma possono presentarsi con diversi livelli di intensità e di frequenza, a seconda della gravità del disturbo e della risposta alle terapie in corso.

Come diagnosticare e curare l’asma?

L’insorgenza dell’asma è imprevedibile, può esordire a qualunque età della vita: viene sospettata e diagnosticata quando insorgono le prime crisi, spesso in concomitanza con altre allergie.

In generale, se la crisi d’asma è particolarmente intensa, è indicata la terapia cortisonica orale e, in alcuni casi, può essere opportuno accedere tempestivamente al Pronto Soccorso, per ricevere le prime cure, far regredire i sintomi e – se si tratta delle prime manifestazioni di sospetta asma in quel singolo paziente – iniziare un percorso di diagnosi. La diagnosi dell’asma richiede un’attenta anamnesi e la conferma è data dall’esecuzione di esami specifici come la spirometria corredata da test di broncodilatazione o test di provocazione bronchiale. Altri esami utili a comprendere meglio la natura dell’asma sono la misura dell’infiammazione bronchiale attraverso analisi dell’ossido nitrico espirato (FENO), i test allergometrici ed eventuali altri esami valutati dallo specialista.

Una volta individuata la tipologia d’asma, va impostata una terapia farmacologica con corticosteroidi inalatori ed eventualmente altri farmaci associati (solitamente broncodilatatori inalatori). Nel caso in cui la terapia inalatoria massimale con corticosteroidi associati a broncodilatatori non dovesse risultare sufficiente a controllare l’asma e ad evitare le crisi ricorrenti (asma grave), sono indicati i farmaci biologici, che vanno scelti sulla base delle caratteristiche infiammatorie e cliniche del singolo paziente, e vengono solitamente somministrati inizialmente sotto controllo ospedaliero e – solo in un secondo momento – al domicilio. Un’altra strategia terapeutica indicata per i pazienti asmatici allergici lievi-moderati, è l’immunoterapia allergene-specifica, la cosiddetta “vaccinazione contro le allergie”, che comporta la somministrazione controllata e progressiva dell’allergene che causa le crisi d’asma per indurre l’organismo a tollerare l’esposizione naturale, e prevenire la progressione dell’asma da lieve-moderata a grave.

Come intervenire in caso di attacco d’asma notturno?

L’attacco d’asma notturno, esattamente come gli attacchi d’asma che si verificano di giorno, deve essere trattato immediatamente con farmaci inalatori che garantiscono una rapida dilatazione e, al contempo, abbassano l’infiammazione presente nei bronchi. Se, invece, l’attacco d’asma notturno non si risolve con l’utilizzo al bisogno del farmaco inalatorio, potrebbe essere necessario il trattamento con cortisone assunto oralmente e/o con un intervento sanitario al Pronto Soccorso.

Perché non si deve sottovalutare l’asma?

L’asma non va sottovalutata perché è una malattia con una presentazione accessionale: i suoi sintomi, infatti, possono alternativamente manifestarsi o non manifestarsi. L’infiammazione che ne è alla base, tuttavia, resta comunque presente nei bronchi e, se non adeguatamente curata, comporta con il tempo l’insorgenza di un’ostruzione bronchiale. Se l’ostruzione bronchiale si cronicizza, però, il paziente non riesce più a rispondere adeguatamente ai trattamenti e ad avere una qualità della vita normale.

Ultimo aggiornamento: Novembre 2025
Data online: Aprile 2025

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A cura di mmaestri
“Prendi in mano la salute del tuo pancreas”: evento in ospedale, tra sensibilizzazione e Ricerca
Data articolo:Wed, 19 Nov 2025 08:38:04 +0000

In occasione della Giornata mondiale del tumore del pancreas, giovedì 20 novembre 2025, l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas ha aperto le porte a cittadini e pazienti per una giornata di sensibilizzazione, conoscenza e incontro con i professionisti della Pancreas Unit.

Sotto il titolo “Prendi in mano la salute del tuo pancreas”, l’iniziativa ha voluto ricordare che ogni gesto può fare la differenza nella prevenzione e nella cura di una malattia che, ancora oggi, rappresenta una delle sfide più complesse per la medicina moderna.

Un’occasione per conoscere, toccare e capire

Durante la giornata, nel corner allestito nel corridoio principale dell’ospedale (building 2), è stato possibile scoprire da vicino com’è fatto il pancreas, toccando con mano un “phantom”, una riproduzione artificiale e altamente fedele dell’organo umano realizzata dai ricercatori di Humanitas e Politecnico di Milano, con il supporto del 3D Innovation Lab di Humanitas University.

Il modello, sviluppato grazie a sofisticate tecniche che replicano consistenza ed elasticità, rappresenta uno strumento innovativo di formazione per chirurghi e specializzandi e consente di testare strumenti – come fili di sutura capaci di resistere agli acidi pancreatici – in condizioni estremamente realistiche.

Diversi fattori, infatti, rendono la cura del tumore del pancreas molto complessa e spiegano la necessità di continuare a fare Ricerca: spesso la diagnosi avviene in stadio relativamente avanzato della malattia; la sede “nascosta” del pancreas e la sua vicinanza a grosse vene e arterie rendono difficile la chirurgia; la scarsa risposta alle cure, che devono prevedere un approccio multidisciplinare con chemioterapia, chirurgia quando possibile ed eventualmente radioterapia.

«Allenarsi su un organo artificiale così preciso permette di migliorare la sicurezza degli interventi e la preparazione dei giovani chirurghi – afferma il prof. Alessandro Zerbi, responsabile di Chirurgia pancreatica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e docente Humanitas University –. È un esempio concreto di come la collaborazione tra medici, ricercatori e ingegneri oggi sia fondamentale per il progresso delle cure».

Il video racconta come si è arrivati a realizzare il pancreas artificiale, anche con il supporto dei cittadini attraverso Fondazione Humanitas per la Ricerca.

L’importanza di sani stili di vita e diagnosi precoce

Il pancreas è un organo piccolo ma essenziale, coinvolto sia nella digestione sia nella regolazione della glicemia. Prendersene cura significa proteggere il proprio equilibrio metabolico e digestivo. Quando si ammala, si possono sviluppare diverse forme tumorali. Tra queste, il più pericoloso è l’adenocarcinoma del pancreas. Secondo i dati AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) nel 2024 sono state stimate circa 13.585 nuove diagnosi: 6.873 negli uomini, 6.712 nelle donne.

Questo tumore resta uno dei più aggressivi e difficili da trattare, e spesso la sua diagnosi è tardiva. Anche per questo sono nate le Pancreas Unit, tra cui quella del Cancer Center di Humanitas: centri specializzati e organizzati secondo un modello multidisciplinare con l’obiettivo di migliorare gli esiti clinici e portare avanti Ricerca d’avanguardia.

«È importante fare attenzione alla comparsa di alcuni sintomi – aggiunge la dott.ssa Silvia Carrara, caposezione dell’ecoendoscopia diagnostica e terapeutica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, docente di Humanitas University e presidente dell’Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas (AISP) -: ittero, cioè colorazione giallastra della pelle e del bianco degli occhi; dolore addominale o alla schiena, spesso sordo e costante; perdita di peso e appetito; dimagrimento inspiegabile e riduzione della fame; nausea e vomito, soprattutto se si manifestano insieme a una sensazione di sazietà precoce; debolezza e affaticamento marcati; cambiamenti nelle feci, che possono diventare grasse e molto chiare; comparsa improvvisa di diabete: in particolare in persone che non hanno una predisposizione familiare».

Durante la giornata è stato possibile confrontarsi con medici e ricercatori, per imparare a riconoscere i principali fattori di rischio noti per il tumore del pancreas: fumo di sigaretta, dieta ricca di grassi e povera di frutta e verdura, diabete, pancreatite cronica, età avanzata, familiarità per tumore del pancreas e alcune mutazioni genetiche, obesità.

L’incontro scientifico per fare il punto sulle novità e le prospettive di Ricerca

Martedì 2 dicembre 2025, in Humanitas, si terrà l’incontro scientifico “PDAC Innovation Summit: Shaping the Future of Pancreatic Cancer”, coordinato dal prof. Luigi Maria Terracciano, Direttore Scientifico dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas, professore di Anatomia Patologica e Rettore di Humanitas University, e dal prof. Alessandro Zerbi.

L’appuntamento sarà un’occasione di confronto tra specialisti di diverse aree – dalla Gastroenterologia alla Chirurgia, dall’Oncologia alla Radiologia – per condividere esperienze, dati e prospettive future nella gestione delle malattie pancreatiche, con particolare attenzione all’innovazione terapeutica e alla personalizzazione dei trattamenti. Il Comitato organizzativo comprende infatti anche Salvatore Piscuoglio, professore di Genetica di Humanitas University, la dott.ssa Sara Lovisa, responsabile del Laboratorio di Plasticity, Fibrosis and Cancer, Direttore del Centre Européen de Calcul Atomique et Moléculaire Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL).

La giornata si aprirà con un focus su PNRR e innovazione computazionale, dove saranno illustrati i progressi nazionali nell’ambito dei Big Data e del quantum computing come strumenti per la Ricerca oncologica. Si parlerà di modelli paziente-derivati, analisi genomiche e infrastrutture digitali per la medicina personalizzata.

Nel pomeriggio, le sessioni si concentreranno sugli aspetti clinici e traslazionali del tumore pancreatico. Si discuteranno le più recenti innovazioni nella chirurgia e nella Radioterapia. Le successive sessioni esploreranno il collegamento tra Ricerca e clinica, con approfondimenti su biomarcatori, alterazioni molecolari e nuovi modelli preclinici.


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A cura di mmaestri
Epicondilite: i sintomi e i benefici delle onde d’urto
Data articolo:Thu, 13 Nov 2025 14:03:53 +0000

L’epicondilite, spesso definita come “gomito del tennista”, è una patologia infiammatoria-degenerativa che interessa l’articolazione del gomito e coinvolge uno o più tendini estensori del polso e delle dita che si inseriscono sulla regione dell’omero detta epicondilo, che corrisponde alla sporgenza ossea che troviamo nella parte laterale del gomito. Si tratta di un disturbo piuttosto comune, spesso caratterizzato da intenso dolore e che, se non trattato, può comportare una degenerazione del tendine. Le onde d’urto focali, una terapia biofisica e non invasiva con azione antinfiammatoria e antidolorifica, risultano particolarmente utili non solo per tale problematica, ma anche per altri disturbi del gomito come le epitrocleiti (o “gomito del golfista”) e le tendinopatie del bicipite brachiale distale.

Ne parliamo con la dottoressa Elisabetta Tibalt, specialista del Dipartimento di Riabilitazione e Recupero Funzionale presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Epicondilite: i sintomi

L’epicondilite è indotta nella maggior parte dei casi da un “overuse”, ossia un uso continuativo ed eccessivo del gomito che determina un sovraccarico funzionale dei tendini estensori. Tale situazione si verifica frequentemente in chi pratica sport come il tennis in cui i movimenti ripetuti in estensione del polso e del gomito, soprattutto durante i rovesci, e i continui stress meccanici legati all’assorbimento delle forze durante la risposta ai colpi avversari sono alla base della genesi della patologia. L’uso di strumentazioni non adeguate come una racchetta troppo pesante, con una presa non adeguata alle caratteristiche fisiche personali o corde troppo tese, così come una scarsa tecnica di gioco sono ulteriori fattori di rischio. Tuttavia anche sollecitazioni di minore entità ma continuative, come la digitazione su tastiera nel lavoro d’ufficio, può essere sufficiente a scatenare il problema.

Il sintomo più comune dell’epicondilite è il dolore laterale del gomito, in particolare quando si effettuano movimenti di estensione di polso e mano, nelle prese di oggetti e, nei casi più gravi, nell’estensione del gomito dopo un periodo di riposo a gomito piegato. L’aggravamento e la cronicizzazione del disturbo limita enormemente le attività di vita quotidiana, influendo negativamente sul benessere generale della persona.

Epicondilite: a cosa servono le onde d’urto

Il trattamento dell’epicondilite si basa principalmente su terapie conservative: farmacologiche, stimolazioni biofisiche e fisioterapia. Solo nei casi più resistenti ci si avvale della terapia infiltrativa e, solo in pochissimi casi, dell’intervento chirurgico. Tra le terapie biofisiche, le onde d’urto focali sono particolarmente efficaci sia nelle fasi acute che in quelle croniche di malattia.

Le onde d’urto focali sono onde acustiche in grado di penetrare in profondità nei tessuti e di stimolare una risposta biologica cellulare. Gli effetti indotti dalla terapia sono molteplici, ma possiamo riassumerli in quattro punti fondamentali: azione antinfiammatoria, antidolorifica, antiedemigena e rigenerativa tessuto specifica.

Come funzionano le onde d’urto

Le onde d’urto focali nel trattamento delle patologie tendinee, come nell’epicondilite, non presentano particolari controindicazioni. Risulta comunque fondamentale un corretto inquadramento clinico-diagnostico e che l’indicazione al trattamento sia fornita da un medico. La terapia, se effettuata correttamente e con apparecchiature adeguate, è ben tollerata e non induce effetti collaterali particolari; inoltre può essere associata a percorsi riabilitativi personalizzati.

Le reazioni biologiche tissutali indotte dalle onde d’urto sono complesse e richiedono tempi di risposta variabili che dipendono dalla capacità di risposta riparativa del tessuto stimolato. Nel caso dei tendini il tempo necessario per ottenere una riduzione del dolore può arrivare fino a 2-3 mesi dalla fine del trattamento. Generalmente il ciclo terapeutico consiste in 3 sedute a scadenza settimanale. Tra una seduta e l’altra è possibile avvertire una momentanea riacutizzazione della sintomatologia dolorosa: in tal caso non bisogna spaventarsi, si tratta infatti di una normale e fisiologica risposta dell’organismo alla stimolazione e all’attivazione dei processi di rigenerazione.

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A cura di mmaestri
Colesterolo alto: cosa mangiare
Data articolo:Thu, 13 Nov 2025 09:21:10 +0000

Il colesterolo è un grasso (lipide) fondamentale per la crescita delle cellule ma, se presente nel sangue in quantità eccessive rispetto alla norma (ipercolesterolemia), è tra i principali fattori di rischio per l’insorgenza di patologie cardiovascolari. Il colesterolo infatti, si suddivide in colesterolo ldl, o “colesterolo cattivo” che tende ad accumularsi nei vasi sanguigni (placche aterosclerotiche) impedendo il corretto flusso del sangue e provocando eventi come ictus e infarto del miocardio, e colesterolo hdl, anche conosciuto come “colesterolo buono”, che invece favorisce la rimozione del colesterolo ldl dal sangue.

L’aumento di colesterolo si associa a varie cause, tra cui anche un’alimentazione ricca di cibi che ne favoriscono l’apporto e che, quindi, in presenza di ipercolesterolemia, va modificata. In particolare, gli alimenti che presentano una maggior concentrazione di colesterolo sono i formaggi, gli insaccati, le uova (in particolare il tuorlo) e i crostacei. 

Cosa bisogna mangiare con il colesterolo alto? Ne parliamo con la dottoressa Cristina Panico, dell’Unità di Cardiologia Clinica, Interventistica e Ucc presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

Cereali e vegetali: i cibi che favoriscono il controllo del colesterolo 

L’alimentazione più adatta per il controllo del colesterolo è la dieta mediterranea. Ricca di vegetali, legumi e cereali che non contengono colesterolo e aiutano ad abbassarne i livelli. I vegetali, infatti, sono alimenti ricchi di fibre, che diminuiscono l’assorbimento del colesterolo assunto con il cibo da parte dell’intestino. In particolare si consiglia di consumare 2-3 porzioni di verdure al giorno e 2 porzioni di frutta

Anche i cereali integrali sono ricchi di fibre, per cui è consigliato preferirli a quelli lavorati. Sarebbero quindi da integrare nell’alimentazione riso, pasta e pane integrali, e altri cereali come il farro, l’orzo e l’avena. 

Le fonti di proteine 

I legumi, oltre a non contenere colesterolo, sono anche una fonte di proteine. Per questo, le persone con colesterolo alto dovrebbero consumarli circa 2-4 volte a settimana.

Le altre fonti di proteine a bassa concentrazione di colesterolo sono il pesce e le carni bianche. 

Le persone interessate da colesterolo alto dovrebbero consumare il pesce 2-3 volte alla settimana, favorendo cotture alla griglia, al vapore o al cartoccio ed evitando invece le fritture. I molluschi e i crostacei sono invece più grassi e il consumo deve quindi essere limitato. 

Colesterolo: ridurre i grassi saturi 

I grassi insaturi di origine vegetale contribuiscono a ridurre il colesterolo ldl. Per questo si consiglia di utilizzare come condimento dei propri piatti l’olio extravergine di oliva (in quantità moderate) ed evitare invece i grassi saturi presenti nel burro ma anche nello strutto e nel lardo. I grassi saturi di origine animale, infatti, si associano a un aumento di colesterolo ldl nel sangue. 

I grassi da evitare in presenza di ipercolesterolemia sono in particolare quelli presenti nei formaggi, nelle uova e negli insaccati. Si può invece consumare con moderazione la carne bianca e rossa preferendo i tagli magri ed eliminando il grasso visibile prima della cottura.

Per quanto riguarda il latte, bisogna utilizzare quello scremato al posto di quello intero. In generale, infine, per qualsiasi alimento, vanno preferite cotture come quella al vapore, al forno, al microonde, alla griglia o la bollitura, mentre si deve evitare la frittura in padella o in friggitrice.

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A cura di mmaestri
Amiloidosi cardiaca: che cos’è e quali sono i sintomi
Data articolo:Tue, 11 Nov 2025 13:34:15 +0000

Con amiloidosi si fa riferimento a un gruppo eterogeneo di patologie che comportano l’accumulo di un complesso insolubile di proteine (amiloide) nei tessuti di vari organi, tra cui il cuore, le cui funzioni vengono inficiate. L’amiloide, infatti, si diffonde negli interstizi tra le cellule contrattili cardiache, contribuisce al loro danneggiamento, ne inficia il corretto funzionamento e provoca un irrigidimento delle pareti del miocardio.

Un tempo, l’amiloidosi era considerata una patologia rara, ma, recentemente, un miglioramento degli strumenti diagnostici e una maggiore attenzione alle manifestazioni precoci della malattia stanno portando a un crescente numero dei casi diagnosticati. 

Ne parliamo con il dottor Guido Del Monaco, cardiologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

I sintomi dell’amiloidosi 

L’amiloidosi tende a manifestarsi in maniera progressiva nel tempo e a causare segni e sintomi dovuti al coinvolgimento degli organi. In particolare, il coinvolgimento cardiaco può determinare in maniera importante la prognosi. 

I sintomi cardiaci comprendono: 

Le manifestazioni dell’amiloidosi legate all’interessamento di tutti gli altri organi e apparati possono essere moltissime, tra cui:

  • sindrome del tunnel carpale bilaterale (che può insorgere anche 10 anni prima del coinvolgimento cardiaco e d’organo);
  • complicazioni a livello dei tendini (per esempio la rottura del bicipite brachiale);
  • parestesie e diminuzione della sensibilità degli arti;
  • dolore ai nervi periferici;
  • alterazioni della funzionalità renale, del fegato, della milza e dell’apparato gastrointestinale;
  • edema degli arti e addominale;
  • petecchie (macchie cutanee) provocate da sanguinamento cutaneo;
  • sanguinamento periorbitario;
  • macroglossia (ingrossamento della lingua). 

I depositi di amiloide, infatti, possono trovarsi a livello di uno o più organi in combinazioni diverse, provocando una sintomatologia estremamente variegata. 

Quali sono le cause dell’amiloidosi? 

Alla base dell’amiloidosi possono esserci cause differenti. Le forme più comuni di amiloidosi sono due: l’amiloidosi da catene leggere (amiloidosi AL) e l’amiloidosi da transtiretina (amiloidosi ATTR).

L’amiloidosi AL non è ereditaria ed è scatenata da una sovrapproduzione di catene leggere, ossia frammenti di anticorpi da parte di un clone di plasmacellule. Si associa tipicamente a patologie del sangue (ematologiche).

L’amiloidosi ATTR, invece, è determinata dall’accumulo della proteina transtiretina e può manifestarsi sia in assenza di mutazione, sia in forma mutata e, dunque, ereditaria. La forma non genetica è tipica delle persone anziane mentre quella genetica in genere si manifesta prima.

Gli organi che sono maggiormente coinvolti dall’amiloidosi sono il cuore e il sistema nervoso periferico, ma nell’amiloidosi AL possono essere coinvolti anche rene e organi viscerali tra cui fegato e milza. 

Più rare, invece, altre forme: la forma provocata da un deposito di apolipoproteina A, quella associata a depositi di beta 2-microglobulina associata a lunghi trattamenti di dialisi, o la forma associata a patologie infiammatorie croniche

Gli esami per diagnosticare l’amiloidosi 

I test per giungere alla diagnosi sono diversi e comprendono: 

Quando la diagnosi è di amiloidosi da transtiretina è opportuna un’analisi genetica per individuare le forme ereditarie associate a mutazione. 

Come trattare l’amiloidosi cardiaca 

Quando si parla di amiloidosi cardiaca, lo scompenso cardiaco è un rischio concreto e inoltre non è possibile prevenirla. Per questo, una corretta informazione sulla malattia è di particolare importanza perché aiuta a individuare precocemente la malattia e a intervenire tempestivamente con il trattamento più adeguato per contenere i sintomi.

Per le due forme più comuni di amiloidosi, quella a catena leggera e l’amiloidosi ATTR, sono disponibili nuovi farmaci, tenendo anche in considerazione la possibile associazione di sintomi neurologici, mentre, se la causa sottostante è una patologia ematologica, si interviene direttamente sulla malattia. Per ciascuna forma di amiloidosi, infatti, si eseguono terapie mirate. Tuttavia, per l’amiloidosi AL, che è tipicamente associata a patologie ematologiche, è possibile guarire completamente con una terapia che in genere prevede la combinazione di chemioterapia e trapianto di midollo osseo, mentre le terapie attualmente disponibili non consentono una completa risoluzione dell’amiloidosi ATTR. Le terapie per l’amiloidosi ATTR oggi consentono in ogni caso di stabilizzare la malattia, ma sono in fase di studio terapie più avanzate.

Il trattamento dell’amiloidosi è quindi complesso e prevede il coinvolgimento di un team multidisciplinare di specialisti, ma con un intervento precoce è possibile trattare o contenere la progressione della sintomatologia.

Fonti

Ultimo aggiornamento: Novembre 2025
Data online: Settembre 2022

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A cura di mmaestri
Colesterolo HDL e colesterolo LDL: le differenze
Data articolo:Tue, 11 Nov 2025 11:36:33 +0000

Il colesterolo è un grasso (lipide) presente nel sangue e nei tessuti. È parte integrante della membrana cellulare, per cui è fondamentale per la crescita di cellule sane. Tuttavia, se il colesterolo è presente in eccesso rispetto alle quantità fisiologiche necessarie alla costruzione delle cellule, rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiache. Il colesterolo in eccesso (ipercolesterolemia), infatti, si associa alla formazione di depositi di grasso sulle pareti dei vasi sanguigni (placche aterosclerotiche), che ostruiscono il regolare passaggio del sangue. 

Cosa comporta l’ipercolesterolemia? Ne parliamo con la dottoressa Cristina Panico, dell’Unità di Cardiologia Clinica, Interventistica e Ucc presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

Colesterolo HDL e colesterolo LDL: quali sono le differenze? 

L’ipercolesterolemia è uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari e comporta un aumento dei grassi che circolano nel sangue. 

I grassi che si possono misurare attraverso gli esami del sangue sono suddivisi in:

  • trigliceridi: i grassi alimentari che si assumono col cibo;
  • colesterolo hdl: il “colesterolo buono”, utilizzato dai muscoli come fonte di energia o portato al fegato, dove viene smaltito;
  • colesterolo ldl: il “colesterolo cattivo”, si può depositare all’interno delle arterie e formare le placche aterosclerotiche, che rappresentano una delle principali cause di ictus o di infarto del miocardio.

Che cos’è il rischio cardiovascolare? 

Quando si parla di riduzione del colesterolo e del suo controllo ci si riferisce principalmente al colesterolo ldl, responsabile della formazione di placche aterosclerotiche. La valutazione varia da persona a persona, in base al rischio cardiovascolare individuale, per ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari o di sviluppare nuovi eventi cardiovascolari se il paziente è già interessato da una malattia nota. 

Il medico di base e/o lo specialista cardiologo valutano quindi il rischio individuale, valutando la presenza o l’assenza dei fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, tra cui per esempio diabete, ipertensione e fumo di sigaretta. I dati, aggregati, consentono di decidere di quanto vada abbassata la concentrazione di colesterolo ldl nel sangue. 

Ipercolesterolemia: cosa fare? 

Quando si riscontrano alti livelli di colesterolo nel sangue tramite esami del sangue, bisogna fare riferimento al medico di base e/o allo specialista cardiologo, che, come abbiamo detto, valutano il rischio cardiovascolare e inquadrano nel contesto clinico della persona l’ipercolesterolemia. Sono infatti possibili anche cause secondarie dell’ipercolesterolemia (come la malattia della tiroide) che vanno escluse o confermate per essere adeguatamente trattate.

Escluse le cause secondarie di ipercolesterolemia, è necessario valutare anche l’eventuale presenza di forme di ipercolesterolemia familiare. Le forme più gravi sono caratterizzate da elevati valori di colesterolo fin dalla giovane età. Il primo approccio terapeutico, in questo caso, può non essere farmacologico e comportare un’alimentazione priva di colesterolo e lo svolgimento regolare di attività fisica di tipo aerobico

L’alimentazione per ridurre il colesterolo 

Per ridurre il colesterolo nel sangue bisogna evitare gli alimenti che ne sono ricchi. I cibi che presentano una maggior concentrazione di colesterolo sono in particolare i formaggi, le uova (soprattutto il tuorlo), gli insaccati e i crostacei. 

L’alimentazione più adatta per il controllo del colesterolo è la dieta mediterranea, che è ricca di vegetali, legumi e cereali. I vegetali sono ricchi di fibre, che diminuiscono l’assorbimento del colesterolo assunto con il cibo da parte dell’intestino. In particolare si consiglia di consumare 2-3 porzioni di verdure al giorno e 2 porzioni di frutta.

Anche i cereali integrali sono ricchi di fibre, per cui è consigliato preferirli a quelli lavorati. Sarebbero quindi da integrare nell’alimentazione riso, pasta e pane integrali, il farro, l’orzo e l’avena. 

I legumi sono una fonte proteica e non contengono colesterolo. Per questo, le persone con colesterolo alto dovrebbero consumarli circa 2-4 volte a settimana.

Le altre fonti di proteine a bassa concentrazione di colesterolo sono il pesce e le carni bianche.

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A cura di mmaestri
Ricerca contro il cancro: tornano i Cioccolatini di AIRC
Data articolo:Tue, 04 Nov 2025 14:40:39 +0000

A novembre 2025 tornano I giorni della Ricerca, l’appuntamento con la sensibilizzazione sul cancro che ogni anno mantiene accesi i riflettori su una malattia che presenta dati di incidenza ancora estremamente alti. Dalle televisioni pubbliche, agli stadi, alle scuole superiori, Fondazione AIRC (Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro), in occasione dei 60 anni dalla sua fondazione, coinvolgerà i cittadini in un ricco programma di informazione sui progressi della Ricerca sulle patologie oncologiche. Nonostante, infatti, le probabilità di guarigione siano oggi notevolmente aumentate, in Italia solo nell’ultimo anno sono state effettuate oltre 390.000 nuove diagnosi, oltre 1000 al giorno.

I volontari AIRC saranno nelle piazze e nelle scuole sabato 8 novembre 2025 con circa 2400 punti di distribuzione dei Cioccolatini della Ricerca. I cioccolatini saranno disponibili anche dal 10 novembre nelle filiali di Banco BPM o ordinabili online per tutto il mese su amazon.it, per riceverli direttamente a casa. In Humanitas sarà presente un banchetto dedicato nelle giornate di giovedì 6 e venerdì 7 novembre.

A fronte di una donazione minima di 15 euro, si potrà ritirare la propria confezione di Cioccolatini della Ricerca da 200 grammi firmata Venchi e la Guida informativa sui traguardi raggiunti da AIRC in sessant’anni di impegno nella Ricerca oncologica. Ma perché proprio i cioccolatini sono stati scelti come ambasciatori di questo importante messaggio? Perché, se assunto in quantità limitate, il cioccolato fondente è un alleato della salute, a causa del suo contenuto di flavonoidi, sostanze della famiglia dei polifenoli ricche di proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.

I Giorni della Ricerca continuano fino al 16 novembre: un’occasione per approfondire i risultati della Ricerca sul cancro AIRC 2024, i progetti in corso e i nuovi traguardi da raggiungere in termini di diagnosi, prevenzione e trattamenti.

Si possono trovare notizie e informazioni approfondite sul sito airc.it, con i dettagli per chi volesse sostenere tramite un’ulteriore donazione il lavoro dei ricercatori AIRC.

AIRC si unisce inoltre per tutto il mese a Movember, un movimento globale volto alla promozione dell’importanza di avere abitudini sane per la salute degli uomini. AIRC contribuisce a Movember con la campagna digital “Sinonimi & Controlli”, per sensibilizzare sulla prevenzione dei tumori maschili attraverso i controlli consigliati e per raccogliere fondi per la Ricerca. Nel 2024, infatti, sono stati diagnosticati circa 214.000 nuovi casi di tumori tra gli uomini.

Ricerca sul cancro: perché è fondamentale

Nonostante i dati di incidenza siano ancora elevati, gli italiani che hanno superato una diagnosi di tumore e raggiunto la completa guarigione sono oggi aumentati del 50% circa. L’informazione e la sensibilizzazione su questa patologia, garantita anche da giornate come quelle promosse da AIRC, è fondamentale per mettere al corrente i cittadini su fattori di rischio e campanelli d’allarme. 

La prevenzione, la diagnosi precoce e le nuove terapie sono strumenti di grande importanza per contrastare lo sviluppo del cancro. L’aggiornamento della popolazione su queste tematiche, unita al lavoro di specialisti e ricercatori, contribuisce a individuare e trattare efficacemente e in modo meno invasivo un tumore quando si trova ancora nelle fasi iniziali.

Regalando o scegliendo per sé i Cioccolatini della Ricerca si può aiutare concretamente AIRC a sostenere il lavoro di circa 5400 ricercatori in 96 istituzioni in tutto il Paese, con un pizzico di dolcezza. Per ulteriori informazioni, consulta il sito della campagna di AIRC.


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A cura di mmaestri
Humanitas Channel: la piattaforma di streaming che raccoglie voci ed esperienze del mondo Humanitas
Data articolo:Mon, 03 Nov 2025 11:11:16 +0000

Un nuovo spazio digitale per condividere storie, innovazione e ricerca: è online Humanitas Channel, la piattaforma video del Gruppo Humanitas che raccoglie voci, esperienze e approfondimenti dal mondo della cura.

Pensato come un luogo di racconto e incontro, Humanitas Channel nasce per valorizzare i progetti e le persone che ogni giorno contribuiscono a costruire eccellenza in ambito clinico, scientifico e umano.

Dalle testimonianze dei pazienti alle interviste con i nostri specialisti, dai video dedicati alla prevenzione ai dietro le quinte dei grandi eventi, il canale propone un viaggio dentro le storie di chi vive la sanità con passione, competenza e dedizione.

All’interno della piattaforma trovano spazio format diversi: brevi reportage, videointerviste, podcast e rubriche tematiche che raccontano la medicina, la ricerca e l’innovazione in modo semplice e accessibile, con un linguaggio vicino alle persone.

Con Humanitas Channel, il racconto della salute si apre a nuove forme di comunicazione, capaci di connettere professionisti, studenti, pazienti e cittadini attraverso immagini, voci e volti.

Un modo per far conoscere più da vicino l’impegno quotidiano di chi lavora in Humanitas e per diffondere una cultura della salute fondata sulla conoscenza, sulla condivisione e sulla fiducia.

Mettetevi comodi:


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A cura di mmaestri
Obesità: in Italia una legge la riconosce come malattia
Data articolo:Tue, 21 Oct 2025 15:11:33 +0000

Da molti anni l’obesità è considerata dal mondo scientifico una malattia complessa e multifattoriale che comporta un accumulo eccessivo di tessuto adiposo alterato per struttura e funzione, che influisce negativamente sulla salute generale aumentando il rischio di altre gravi patologie (come le malattie cardiovascolari, il diabete di tipo 2 e alcune neoplasie) e che riduce la qualità e l’aspettativa di vita. 

Dal 1 ottobre, con l’approvazione definitiva del Senato, l’Italia è il primo Paese al mondo a riconoscere l’obesità come malattia con una specifica legge e ad adottare una cornice normativa completa, che include prevenzione, cura e sensibilizzazione sociale. Per legge, le persone con obesità – riconosciuta ufficialmente come malattia progressiva e recidivante – potranno in futuro usufruire delle prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza (LEA) erogati dal Servizio sanitario nazionale, al fine di assicurare l’equità e l’accesso alle cure.

Come sottolinea il professor Roberto Vettor, direttore scientifico del Centro Malattie del Metabolismo e della Nutrizione dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas Rozzano: l’obesità non è una semplice conseguenza di scelte personali indulgenti verso un’eccessiva alimentazione, ma una patologia che coinvolge fattori genetici, ambientali, neuroendocrini e squilibri complessi nella regolazione dell’appetito e del peso corporeo. 

L’approvazione di questa legge è un passo che unisce prevenzione, cura, sensibilizzazione sociale e sostegno istituzionale, tracciando la strada per le future politiche sanitarie europee e globali.

Lo stigma sociale verso l’obesità

L’obesità è stata definita dalla World Obesity Federation come una malattia cronica, progressiva e recidivante; risponde ai criteri per definire una malattia clinica perché ne è stata suggerita un’eziologia, presenta segni e sintomi che la connotano e una serie di alterazioni strutturali e funzionali che producono delle conseguenze patologiche.

É verosimile che lo stigma verso questa malattia sia stata la causa primaria del ritardo del suo riconoscimento come malattia. Infatti, le persone con obesità sono spesso bersaglio di stereotipi che le ritraggono come pigre, golose o prive di forza di volontà. Lo stigma porta a discriminazioni in vari ambiti, come scuola, lavoro e relazioni e può anche manifestarsi in ambiente sanitario. È fondamentale avviare tra i medici e nell’opinione pubblica un cambiamento culturale e un approccio medico con competenze specifiche e che sia più inclusivo e consapevole, che riconosca l’obesità come malattia e combatta lo stigma, ma soprattutto l’ignoranza e la disinformazione. 



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A cura di mmaestri
Skincare: come aver cura della pelle a tutte le età
Data articolo:Mon, 20 Oct 2025 12:46:13 +0000

Skincare è un termine che oggi è di uso comune e indica la cura della pelle per evitare l’insorgenza di disturbi cutanei e per mantenere un aspetto della pelle sano. Tuttavia, sebbene sia sempre più utilizzata anche da persone molto giovani, la skincare va eseguita correttamente utilizzando i prodotti adatti al proprio tipo di pelle per evitare effetti indesiderati.

Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Narcisi, dermatologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Skincare: i passaggi fondamentali a tutte le età

È importante scegliere una skincare adeguata, magari con l’aiuto del farmacista o dello specialista dermatologo, anche in assenza di patologie cutanee. Oggi, infatti, si parla spesso di skincare e questa viene seguita anche da persone molto giovani, magari preadolescenti, che utilizzano prodotti inappropriati. Una skincare inadeguata alla propria età, però, può rendere la pelle meno sana e favorire l’insorgenza di allergie o acne.

I passaggi fondamentali per prendersi cura della propria pelle sono la corretta detersione mattino e sera e l’idratazione della cute: in entrambi i casi è importante scegliere sempre prodotti adatti al proprio tipo di pelle. In alcuni casi si possono utilizzare anche sostanze per eseguire scrub o peeling casalinghi, per esempio in presenza di invecchiamento cutaneo o acne, perché aiutano a eliminare l’ipercheratinizzazione della pelle.

Perché non bisogna andare a letto con il viso truccato?

Per la salute della pelle del viso è molto importante struccarsi prima di andare a dormire. Il trucco lasciato per diverse ore a contatto della pelle e soprattutto se in maniera ripetuta, infatti, può associarsi allo sviluppo di dermatiti irritative o dermatiti allergiche da contatto. Inoltre, il trucco occlude i pori della pelle, provocando l’insorgenza di acne e favorendo l’invecchiamento cutaneo.

Quando si possono iniziare a usare i prodotti anti-age?

Come abbiamo detto, è comune che persone adolescenti o ventenni utilizzino creme eccessivamente idratanti, ricche di sostanze specifiche per un’età più avanzata, con l’intento di prevenire la comparsa di rughe. In realtà utilizzare creme sbagliate per la propria età può indurre la comparsa di dermatite allergica o acne.

Dopo i 40 anni, la pelle tende a perdere lipidi e sostanze nutritive, collagene, elastina, acido ialuronico, e quindi vengono consigliati prodotti in grado di intervenire su questa condizione cutanea. È dunque sempre importante utilizzare prodotti specifici per la propria fascia d’età e, in presenza di dubbi, fare riferimento allo specialista dermatologo.

Si può prevenire l’invecchiamento della pelle?

L’invecchiamento cutaneo è riconducibile in gran parte alla genetica e alla predisposizione individuale. Alcune tipologie di pelle tendono a invecchiare più velocemente di altre. Per esempio, una pelle grassa presenta in genere rughe in un’età più avanzata, mentre chi ha la pelle secca tende a sviluppare le prima rughe nelle aree più esposte, come intorno agli occhi, sulla fronte e sulle guance. Per questo in base al tipo di pelle si tende a eseguire un’idratazione differente.

Per contenere l’insorgenza di rughe è inoltre consigliato evitare di esporsi al sole, prestando particolare attenzione alla pelle del viso. Si consiglia infatti di proteggere le aree più fotoesposte, come viso, collo e décolleté, con una crema solare con fattore di protezione +50, anche nei mesi invernali. Durante l’estate l’esposizione ai raggi del sole deve essere sempre controllata, non solo utilizzando la crema solare ma anche evitando di esporsi al sole negli orari centrali della giornata ed evitando lampade e lettini abbronzanti. Anche fumo, alimentazione poco equilibrata e sedentarietà sono fattori di rischio per l’invecchiamento cutaneo. A una corretta skincare, quindi, bisogna sempre associare uno stile di vita sano.

La pelle risente dei cambiamenti ormonali?

La pelle risente anche dei cambiamenti ormonali a causa dei recettori presenti sulla cute. In età adolescenziale, per esempio, è comune sviluppare acne, brufoli, papule e pustole, cosa che non accade nell’infanzia, perché gli ormoni non influiscono sull’attività delle ghiandole sebacee.

Nella popolazione femminile, inoltre, durante la menopausa si assiste a un impoverimento dei tessuti e a un maggior invecchiamento cutaneo, associati a un aumento di ritenzione idrica e cellulite. In gravidanza, invece, la cute è maggiormente predisposta allo sviluppo di macchie provocate dal sole o da altre patologie cutanee.

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A cura di mmaestri
Humanitas premiato nell’ambito di VaccinAzione 2025
Data articolo:Wed, 15 Oct 2025 09:33:32 +0000

Regione Lombardia, durante l’incontro VaccinAzione di giovedì 2 ottobre, ha riconosciuto Humanitas – tra gli IRCCS privati – come la realtà con la più alta percentuale di professionisti vaccinati per la campagna 2024-2025.

Un numero che racconta quanti dei professionisti Humanitas hanno deciso di aderire alla campagna vaccinale antinfluenzale interna: medici, infermieri e personale sanitario, ma non solo, anche Staff, Servizio Clienti e Ricerca. Un primato che riempie di orgoglio.

Decidere di vaccinarsi non è solo una scelta consapevole, ma un ulteriore esempio di professionalità: un modo concreto per proteggere se stessi e, soprattutto, la salute dei pazienti più fragili che ogni giorno scelgono gli Ospedali e Centri medici Humanitas.

Un sentito ringraziamento anche a tutti coloro che supportano il flusso necessario per dar vita ogni anno alle campagne vaccinali dedicate alla nostra comunità. Questo successo ci motiva a guardare con entusiasmo alla prossima Campagna antinfluenzale, presto in arrivo.

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A cura di mmaestri
Pelle secca e pelle grassa: come riconoscerla e cosa fare
Data articolo:Mon, 13 Oct 2025 10:26:56 +0000

La pelle presenta fisiologicamente zone con diverse quantità di sebo, risultando più grassa o più secca a seconda delle aree. In alcuni casi, possono insorgere disturbi o patologie caratterizzati da un aumento di sebo, secchezza o arrossamenti. In presenza di pelle grassa, pelle secca o pelle arrossata può quindi a volte essere necessario consultare lo specialista dermatologo e mettere in atto alcune accortezze per risolvere il disturbo.

Ne parliamo con la dottoressa Alessandra Narcisi, dermatologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano. 

Cos’è la pelle grassa? 

La pelle grassa è caratterizzata da un aumento di produzione di sostanze oleose e grasse, che rendono la pelle più lucida alla vista. Interessa sia la popolazione maschile sia quella femminile e si sviluppa prevalentemente nella zona centrale del viso, anche chiamata “zona T”, ossia fronte, naso e mento. 

Spesso la pelle grassa si associa alla comparsa di dermatite seborroica, una patologia infiammatoria della pelle che comporta l’arrossamento dell’area interessata e una fine desquamazione e che si sviluppa soprattutto su area T del volto e la regione presternale, ma che può estendersi anche al cuoio capelluto. La dermatite seborroica tende a peggiorare nei mesi invernali, per lo stress o in presenza di infezioni di origine batterica o virale.

Come aver cura della pelle grassa? 

La pelle grassa va trattata con prodotti specifici. È fondamentale eseguire una buona detersione della cute al mattino e alla sera, utilizzando creme o detergenti non eccessivamente idratanti, né che impoveriscono il film idrolipidico, che possono provocare un aumento dell’infiammazione. Lo specialista può indicare l’utilizzo di creme astringenti, utili a regolare la produzione di sebo, e shampoo associati, in particolare nel periodo invernale, a lozioni a base di acido acetilsalicilico o altri prodotti a prescrizione dermatologica. 

Perché si ha la pelle secca? 

La pelle secca contiene una concentrazione inferiori di lipidi e altre sostanze presenti negli strati meno superficiali dell’epidermide, che servono a nutrire la cute. La causa della pelle secca può essere l’invecchiamento cutaneo, che provoca la diminuzione di alcune sostanze, ma anche abitudini sbagliate, come l’utilizzo di prodotti cosmetici non adatti alla propria pelle, detergenti troppo aggressivi, o una scarsa idratazione della cute. 

Anche patologie dermatologiche come la dermatite atopica possono associarsi alla pelle secca. In presenza della dermatite atopica, per esempio, l’aumento della secchezza della pelle dipende da un’alterazione della produzione delle molecole della barriera cutanea. In questo caso in genere lo specialista prescrive una terapia specifica per risolvere il disturbo. 

Cosa fare in caso di pelle secca? 

La pelle secca va idratata con prodotti specifici, come creme idratanti che restituiscono alla cute i lipidi e le altre sostanze che sono carenti rispetto alla norma. Non si devono invece utilizzare olii, perché tendono a rimanere sugli strati superficiali della cute dando un’errata impressione di idratazione ma contribuendo invece ad aumentare la disidratazione. In presenza di patologie come la dermatite atopica, lo specialista indica l’uso di prodotti privi di allergeni, associati a volte alla terapia farmacologica. 

Si può parlare di pelle mista? 

Il termine “pelle mista” particolarmente utilizzato in ambito cosmetico, non è in realtà corretto da un punto di vista medico. Si utilizza in genere per riferirsi a una pelle che non presenta aspetti patologici di eccesso di sebo o secchezza, ma che in alcune aree è più seborroica e in altre più secca. In genere le aree più grasse sono quelle della zona T, quindi come abbiamo detto fronte, dorso del naso e mento, mentre aree come guance e palpebre possono invece presentare secchezza cutanea, sia a causa di una cosmesi non adeguata, sia perché hanno naturalmente una quantità inferiore di ghiandole sebacee. 

Come si riconosce il proprio tipo di pelle? 

Spesso i pazienti al momento della visita dermatologica conoscono già le caratteristiche della propria pelle. Una persona con una pelle particolarmente grassa, quindi molto oleosa, o con una pelle secca tende infatti a individuare il disturbo già al domicilio. A creare confusione, possono invece essere manifestazioni come la desquamazione.

Un paziente con dermatite seborroica, caratteristica di una pelle grassa, per esempio, può presentare arrossamento e sottile desquamazione ai lati del naso, intorno alle labbra, intorno alle sopracciglia o sul cuoio capelluto, ma associare il sintomo alla pelle secca e non a un aumento di sebo. Questo errore può indurre a trattare l’area con creme o shampoo molto idratanti, rischiando così di peggiorare il disturbo. 

Quali sono le cause della pelle arrossata?

La pelle arrossata si associa a svariati fattori. Per esempio una causa comune è l’utilizzo di prodotti troppo idratanti, anche da parte di persone molto giovani che applicano creme antirughe pensate per un pubblico più adulto e che, invece di migliorare la salute della pelle, possono provocare irritazione e comparsa di acne. Inoltre, anche l’utilizzo di scrub o peeling casalinghi possono associarsi a arrossamento cutaneo. La pelle può essere anche interessata da patologie infiammatorie, come la dermatite atopica, un disturbo che in genere esordisce fin dall’infanzia, o da dermatiti irritative provocate da allergie o dermatiti allergiche da contatto. 

Cosa fare se si hanno macchie rosse sulla pelle? 

In presenza di macchie rosse persistenti sulla pelle è consigliabile effettuare una visita dermatologica perché gli arrossamenti possono associarsi a patologie come la dermatite seborroica, la dermatite atopica o dermatiti da contatto. Spesso i pazienti arrivano in sede di visita con una pelle trattata con creme o farmaci da banco o creme cortisoniche, che in realtà inquinano il quadro diagnostico. 

In questo caso lo specialista può richiedere di sospendere la terapia per qualche settimana, portando a una riacutizzazione di malattia, in modo da poter valutare adeguatamente lo stato di salute della cute. In ogni caso, in presenza di macchie rosse persistenti che non si risolvono con l’utilizzo di una crema idratante e che non hanno cause note, è opportuno fare riferimento allo specialista dermatologo.

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A cura di Valeria Leone
Cattiva circolazione: i sintomi della trombosi
Data articolo:Fri, 10 Oct 2025 12:27:41 +0000

Il sangue si distribuisce nel nostro corpo grazie al sistema circolatorio che è costituito da arterie e vene. Le arterie trasportano il sangue ossigenato nei polmoni a tutti gli organi, irrorandoli e rigenerandoli in modo da garantirne le funzioni. Le vene invece sono deputate al trasporto del sangue “sporco”, cioè carico delle scorie prelevate dai vari organi, da questi organi ai polmoni, dove vengono scambiate con nuovo ossigeno in un continuo circolo. 

Vi sono delle malattie, che conosciamo come trombosi, che possono compromettere il buon funzionamento della circolazione sanguigna, con insorgenza di eventi patologici anche importanti.

Ne parliamo con il professor Corrado Lodigiani, Responsabile del Centro Trombosi e Malattie Emorragiche dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.

Trombosi arteriosa: quali sono i sintomi

Le trombosi possono colpire sia le arterie, sia le vene e i sintomi percepiti dal paziente sono differenti. 

L’ostruzione di un vaso arterioso determina una sintomatologia diversa in funzione dell’organo verso cui l’arteria è diretta. 

Le trombosi arteriose più comuni sono l’ictus cerebrale, provocato da una trombosi di un’arteria che porta il sangue al cervello e che comporta manifestazioni come disturbi del linguaggio, della sensibilità e del movimento, e l’infarto del miocardio, provocato da una trombosi di un’arteria che porta il sangue al cuore (coronaria) e che comporta invece dolore toracico e/o al giugulo, irradiato al braccio sinistro e talvolta associato a mancanza di respiro e nausea.

La trombosi si può tuttavia più raramente sviluppare a carico di un’arteria di un qualsiasi altro organo, come l’intestino,  il fegato, il rene, la milza, l’occhio oppure interessare gli arti. In questi casi il sintomo più importante è un dolore molto intenso associato ad altre manifestazioni correlate all’alterato funzionamento dell’organo colpito.

I sintomi della trombosi venosa

Quando a essere colpite da trombosi sono le vene, si verificano principalmente manifestazioni provocate dall’impossibilità del sangue a refluire dagli organi, proprio a causa dell’occlusione delle vene che dovrebbero trasportarlo. I sintomi più comuni sono in questi casi dolore e aumento di volume dell’area interessata, come nella forma più frequente che è la trombosi agli arti inferiori.  

In alcuni casi si verifica l’embolia polmonare, una delle complicanze più severe della trombosi venosa, caratterizzata da sintomi come mancanza di respiro, tosse ed espettorazione di sangue e dovuta nella maggior parte dei casi alla frammentazione di un trombo formatosi nelle vene degli arti e alla sua embolizzazione (embolo) nelle arterie del polmone attraverso il cuore stesso. 

Più raramente la trombosi colpisce una vena del cervello (trombosi venosa cerebrale) oppure degli organi addominali (trombosi venosa splancnica) e in questi casi il sintomo più comune è un dolore molto intenso e persistente nell’area colpita.

Trombosi: fattori di rischio e prevenzione

Per la trombosi arteriosa prevalgono i cosiddetti fattori di rischio cardiovascolari, tra cui:

Nella trombosi venosa questi fattori di rischio, pur influendo, hanno un’importanza minore. Tra i fattori di rischio più importanti si riconoscono invece:

  • interventi chirurgici (soprattutto in mancanza di un’adeguata profilassi)
  • ricoveri ospedalieri e/o allettamento prolungato
  • sedentarietà
  • insufficienza venosa (vene varicose)
  • obesità
  • tumori
  • difetti congeniti/ereditari della coagulazione del sangue che danno una tendenza del sangue a coagulare di più (trombofilia)
  • alcune terapie farmacologiche, come gli estroprogestinici anticoncezionali o sostitutivi dopo la menopausa, i cortisonici utilizzati a dosi elevate e per tempo molto prolungato e alcune chemio e immunoterapie per la cura del cancro.

Come si diagnostica la trombosi

A una prima visita di valutazione con lo specialista internista o con lo specialista in malattie cardiovascolari o di Pronto Soccorso potrebbero seguire alcuni esami utili ad una diagnosi definitiva.

In particolare, per diagnosticare la trombosi venosa si svolgono abitualmente: 

  • prelievo venoso per dosaggio del d-dimero: se negativo si può escludere una trombosi venosa acuta
  • ecocolordoppler venoso per la trombosi degli arti 
  • TAC torace con mdc per diagnosticare l’embolia polmonare 
  • TAC addome con mdc per la trombosi dei vasi addominali
  • visita oculistica e fluorangiografia (nel sospetto di trombosi venosa dell’occhio).

Per diagnosticare la trombosi arteriosa si eseguono:

  • Elettrocardiogramma e specifici esami del sangue (nel sospetto di infarto del miocardio)
  • Ecocolordoppler arterioso nel sospetto di ischemia di un arto
  • TAC encefalo nel sospetto di ictus cerebrale
  • TAC addome con mdc nel sospetto di trombosi di organi addominali 
  • visita oculistica e fluorangiografia (nel sospetto di trombosi arteriosa dell’occhio).

Quali esami eseguire per la prevenzione della trombosi?

Si tratta di un tema rilevante in quanto le malattie da trombosi rappresentano ancora la principale causa di morte e malattia nei paesi occidentali.

In un caso su tre la trombosi è prevenibile. 

Sia nel caso della trombosi arteriosa, sia in quello della trombosi venosa, alcuni fattori di rischio sono modificabili attraverso il comportamento. 

In particolare, la prevenzione consiste nel praticare abitualmente attività fisica, mantenere un peso corporeo ottimale, mantenere entro gli intervalli di riferimento la pressione, i lipidi, il colesterolo e la glicemia e correggere l’insufficienza venosa qualora dovesse verificarsi.

Gli esami diagnostici più utili per la prevenzione:

  • visita con uno specialista esperto in malattie cardiovascolari (internista, ematologo della coagulazione, cardiologo o chirurgo vascolare)
  • Ecocolordoppler dei tronchi sovraaortici (ECDTSA)
  • Ecocolordoppler arterioso arti inferiori
  • Ecocardiogramma 
  • TAC cuore con mezzo di contrasto o RMN cuore da stress
  • Esami ematici per controllo colesterolo, trigliceridi, glicemia, uricemia e in casi selezionati screening di trombofilia. 

Come si cura la trombosi 

Per la trombosi arteriosa e quella venosa si seguono due percorsi terapeutici differenti. 

In presenza di trombosi arteriosa il paziente viene trattato acutamente in Pronto Soccorso con farmaci o procedure mirate a sciogliere il trombo nel minor tempo possibile (farmaci fibrinolitici, angioplastica percutanea con o senza stent, trombectomia meccanica per via interventistica o chirurgica). Nella fase post acuta o cronica con farmaci antiaggreganti piastrinici, che aiutano a fluidificare il sangue inibendo la funzione delle piastrine, che sono le cellule che compongono la parte cellulare del sangue deputate alla coagulazione del sangue stesso. 

Per la trombosi venosa, invece, si usano in fase acuta e meglio in Pronto Soccorso farmaci anticoagulanti che vanno a inibire quelle proteine (fattori della coagulazione) che, se attivate, sono responsabili della coagulazione definitiva del sangue e quindi della formazione di un coagulo, somministrati per  via endovenosa o sottocute (eparine) o ora anche orali (anticoagulanti orali diretti) e in più rari casi farmaci fibrinolitici o procedure interventistiche di trombectomia (rottura del trombo) quando la circolazione deve essere ripristinata in tempi brevi. Nella fase post acuta o cronica si usano nella maggior parte dei casi i farmaci anticoagulanti orali diretti e in rari casi anticoagulanti sottocute come le eparine a basso peso molecolare. 

Da segnalare, da questo punto di vista, che sono oggi in fase di sperimentazione nuovi farmaci anticoagulanti diretti contro il fattore XI, una proteina della coagulazione. Si tratta di farmaci innovativi, che dai dati a nostra disposizione risultano efficaci per sciogliere i trombi sia arteriosi che venosi e sembrerebbero esporre il paziente a un rischio estremamente basso di eventi emorragici che rimangono la complicanza più temibile delle terapie antitrombotiche.

Visita specialistica – Centro trombosi

La visita specialistica – Centro trombosi permette di accedere a un servizio clinico specializzato nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie da trombosi venosa e arteriosa.

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A cura di mmaestri
Il dolore nelle malattie reumatologiche: manifestazioni e cure
Data articolo:Thu, 09 Oct 2025 14:10:05 +0000

Le malattie reumatologiche in Italia colpiscono milioni di persone e frequentemente si manifestano con dolore dell’apparato locomotore (articolazioni, ossa, muscoli). Il dolore rimane infatti il sintomo cardine e definire la sua localizzazione è importante anche per una corretta diagnosi. 

Ne parliamo con il professor Carlo Selmi, Responsabile dell’Unità di Reumatologia e Immunologia Clinica in Humanitas e docente di Humanitas University.

È fondamentale distinguere le principali modalità del dolore perché la classificazione condiziona diagnosi, indagini e trattamento. Oltre ai due tipi di dolore classicamente noti, ovvero quello legato a un danno (nocicettivo/infiammatorio) e quello legato a un nervo (neuropatico, come nel caso della sindrome del tunnel carpale), è ora ben riconosciuto il dolore nociplastico.

Negli ultimi anni, infatti, la letteratura scientifica ha formalizzato il concetto di dolore nociplastico: un tipo di dolore che emerge da alterazioni nella trasmissione e modulazione del segnale doloroso (alterata nocicezione), anche in assenza di danno tissutale evidente o di lesione nervosa periferica. Questo meccanismo è tipicamente presente nella fibromialgia di cui costituisce il disturbo principale, ovvero il dolore diffuso a tutto il corpo, ma può coesistere con meccanismi infiammatori o degenerativi nelle artriti e nell’artrosi, rendendo il dolore più generalizzato, persistente e meno responsivo ai classici analgesici o antiinfiammatori. 

Artrite e artrosi: caratteristiche del dolore 

Quando si parla di artrite (es. artrite reumatoide o psoriasica) il dolore è più spesso infiammatorio: peggiora a riposo, durante la notte e nelle prime ore del mattino, con rigidità mattutina significativa e possibile tumefazione articolare. 

Le attuali linee guida EULAR (European Alliance of Associations for Rheumatology) raccomandano un approccio precoce e intensivo con farmaci DMARD (Disease Modifying Antirheumatic Drugs – farmaci in grado di modificare l’andamento della malattia) sia sintetici che biologici e una valutazione personalizzata del rischio-beneficio (per esempio cautela nell’uso di JAK-inibitori in pazienti con fattori di rischio cardiovascolare od oncologico, alla luce di recenti avvertenze regolatorie). 

Nell’artrosi il dolore è tipicamente meccanico: tende a migliorare con il riposo, è associato a rigidità mattutina breve (<30 minuti) e raramente a marcato gonfiore infiammatorio. I fattori di rischio includono età, genere femminile, sovrappeso, sovraccarico meccanico e familiarità.

Sebbene non esistano attualmente farmaci sistemici universalmente accettati in grado di arrestare la progressione strutturale dell’artrosi, alcuni interventi migliorano il dolore e la funzione: esercizio mirato, perdita di peso, terapia fisica, eventualmente infiltrazioni articolari (cortisonici o acido ialuronico, con evidenza variabile) e, nei casi avanzati, la chirurgia protesica. 

Fibromialgia e dolore nociplastico

La fibromialgia è considerata un disturbo del processamento del dolore a livello del sistema nervoso centrale. Il dolore della fibromialgia è cronico, diffuso e persistente, spesso descritto come sordo, gravativo o urente, con la sensazione di interessare “tutto il corpo”. Non deriva da un’infiammazione articolare o da un danno tissutale, ma da un’alterata elaborazione dei segnali dolorosi a livello del sistema nervoso centrale, motivo per cui viene definito dolore nociplastico. 

È tipicamente associato a ipersensibilità agli stimoli, tanto che anche una lieve pressione può risultare dolorosa. Il dolore si accompagna a stanchezza, disturbi del sonno e difficoltà cognitive, con andamento fluttuante e peggioramenti legati a stress, sforzi fisici o condizioni climatiche.

La gestione della fibromialgia richiede un approccio multimodale: esercizio graduale e supervisionato, educazione del paziente, terapie cognitivo-comportamentali e, quando indicati, farmaci centrali (es. duloxetina, pregabalin, alcuni antidepressivi inibitori della ricaptazione della noradrenalina e della serotonina/antidepressivi triciclici). Il trattamento farmacologico spesso ha un effetto moderato; l’attenzione alla qualità del sonno, all’attività fisica e al supporto psicologico è essenziale. 

Valutazione clinica moderna del dolore

Oggi si raccomanda una valutazione multidimensionale del dolore che includa: intensità, caratteristiche (nocicettivo/neuropatico/nociplastico), impatto funzionale, screening per sensibilizzazione centrale (per esempio Central Sensitization Inventory — CSI), co-morbilità psichiatriche, sonno e fatica. Questo orienta l’uso di trattamenti multimodali mirati. 

Per il dolore cronico muscolo-scheletrico (compresa la componente nociplastica) sono indicate terapie farmacologiche centrali come la duloxetina, che ha evidenza per dolore osteoarticolare cronico e fibromialgia. Gli interventi non farmacologici (esercizio fisico personalizzato, terapia fisica, educazione, terapia cognitivo comportamentale, tecniche di igiene del sonno) sono fondamentali, soprattutto quando è presente una componente nociplastica: questi approcci modulano il processamento centrale del dolore e migliorano funzione e qualità di vita.

In conclusione distinguere i meccanismi del dolore è cruciale per pianificare la cura. Nei processi infiammatori precoci, la terapia di fondo può prevenire il danno articolare e ridurre il dolore cronico. In presenza di dolore diffuso, affaticamento, disturbi del sonno o sintomi cognitivi è bene sospettare una componente nociplastica/centralizzata e attuare un approccio multimodale. Occorre informare i pazienti sui benefici di esercizio fisico, controllo del peso e terapia psicosociale; i problemi di rischio per alcuni farmaci (es. JAKi) devono essere discussi e documentati.

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A cura di mmaestri


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